DAGOREPORT – NEL NOME DEL FIGLIUOLO: MELONI IMPONE IL GENERALE ALLA VICEDIREZIONE DELL’AISE.…
Alessandro Barbera e Ilario Lombardo per "la Stampa"
GIUSEPPE CONTE PAOLO GENTILONI ROBERTO GUALTIERI
Giuseppe Conte mangerà il panettone a Palazzo Chigi. Il 9 dicembre, il giorno in cui è atteso in Parlamento per ricevere il sì alla riforma del fondo salva-Stati, non dovrebbe avere sorprese. Il compromesso con il Movimento Cinque Stelle, da sempre contrario, è pronto.
Se fra di loro ci dovessero essere defezioni, sulla carta fa la differenza il sì annunciato da Forza Italia. Dal veto italiano in Europa a quella riforma, essenziale per creare un meccanismo di salvataggio delle banche in caso di crisi, è passato un anno. Allora la maggioranza giallorossa - nata appena tre mesi prima - rischiò il peggio. Da allora è come se fosse passato un secolo. L' agenda è decisa: lunedì il ministro del Tesoro Roberto Gualtieri riferirà alla Commissione Finanze.
giuseppe conte roberto gualtieri
Per evitargli grane non ci sarà nessun voto, solo un passaggio per rendere possibile al ministro di incontrare poche ore dopo i ministri finanziari dell'Unione. Il passaggio più delicato è quello del 9 dicembre, il giorno prima il vertice dei capi di Stato che dovrà mettere l'ultimo sigillo alla riforma. Anche in questo caso il compromesso è pronto. Secondo quanto riferiscono fonti di governo e dei Cinque Stelle, il testo della risoluzione di maggioranza per autorizzare il premier al sì in Europa sottolineerà che l' Italia non ha alcuna necessità - né oggi, né domani - di far uso di quel prestito.
Un post sul profilo Facebook dei Cinque Stelle conferma le intenzioni: ribadisce il no all' uso del Mes per le spese sanitarie (lo strumento ad hoc fuori delle regole ordinarie del fondo salva-Stati) ed evita accuratamente di citare la riforma.
Per l' ala governativa del Movimento la faccenda è chiusa, meno per le frange più radicali. Lo conferma quanto accaduto nel pomeriggio dopo il post ufficiale con due comunicati di sei deputati e sette senatori.
ROBERTO GUALTIERI GIUSEPPE CONTE
I primi - fra cui Raduzzi e Cancelleri - sottolineano il senso di una riforma che imporrebbe condizionalità «peggiorative». Il gruppo di Palazzo Madama (fra loro Pesco, Lannutti, Dessì) ritiene «inutile stare ancora a ragionare della riforma». In caso di crisi del debito sovrano la riforma introduce meccanismi più semplici per procedere all' eventuale ristrutturazione di un debito sovrano, ma allo stesso tempo uno scudo più forte contro eventuali crisi bancarie.
Escluse le difficoltà alla Camera, basterebbe il gruppo del Senato a far saltare la maggioranza? In linea astratta sì. Ma ci sono almeno un paio di ragioni per cui probabilmente non accadrà. La prima è il sì di Forza Italia, che non sembra intenzionato a fare scherzi al governo. Lo confermano alla Stampa la capogruppo in Senato Annamaria Bernini e l' ex ministro Renato Brunetta, colui che in questi giorni ha spinto per la trattativa con il Pd alle nuove autorizzazioni di spesa. Spiega Bernini: «Vogliamo vedere il testo della risoluzione, ma dire no significherebbe smentire la nostra battaglia per il Mes». E il secondo: «Escludo Forza Italia possa dire no ad una riforma dei Trattati».
giuseppe conte e luigi di maio
C' è una ragione ancora più forte per cui alla maggioranza conviene uscire indenne dal voto. La spiega una fonte del Movimento sotto la garanzia dell' anonimato: «Se ci spaccassimo per il premier significherebbe essere costretto a salire immediatamente al Colle a rassegnare le dimissioni in piena sessione di bilancio, con conseguenze imprevedibili per il governo e la legislatura. Di ciò i colleghi senatori sono consapevoli».
Sarebbero pesanti anche le conseguenze internazionali: se l' Unione ha dato un anno di tempo all' Italia per sciogliere le riserve, è stato solo grazie all' emergenza Covid.
Chi ha in mano il pallottoliere del Senato considera qualche defezione fra i grillini inevitabile. A far dormire sonni tranquilli sono i 54 forzisti.
Andrea Cangini, fra i senatori chiamati a dare soccorso al governo in nome dell' interesse nazionale, ci scherza sopra: «Se cambiassimo nome alla riforma e invece di Mes la ribattezzassimo Ugo, la maggioranza non avrebbe più nulla di cui discutere». Di qui a un anno il problema si riproporrà con il voto di ratifica del Parlamento alla modifica dei Trattati. Di qui ad allora nessuno nei palazzi scommetterebbe che la maggioranza di governo sarà quella di oggi. Più facile trovare qualcuno disposto a fare il nome dell' eventuale premier.
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