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Prima di pensare ai ministeri, bisogna essere sicuri dei numeri. Non solo tra i renziani doc, ma anche al Colle c'è una certa apprensione per il Senato, dove gli equilibri sono fragilissimi e il rischio è quello di doversi legare mani e piedi a un pugno di parlamentari del Sud, a qualche autonomista e poi di votarsi pure alla Madonna perché i quattro senatori a vita garantiscano la presenza quando serve.
La maggioranza assoluta per ottenere la fiducia è un'asticella fissata a quota 161. Il governo di Aspenio Letta, dopo l'abbandono di Forza Italia, ha potuto contare su 171 voti, dei quali sicuri sicuri non più di 167. Renzie parte dai 108 del Pd, dai 20 di Sciolta Civica e scissionisti casiniani e dai 29 degli alfanoidi. Il totale fa 157, ma non basta. Per scavalcare il quorum ci vogliono anche i 10 voti degli autonomisti del Gal (e siamo a 167) e, magari, anche il semaforo verde di Ciampi, Rubbia, Piano e Cattaneo, senatori a vita.
A impensierire il Rottam'attore però ci sono i civatiani, che potrebbero anche non votargli la fiducia se il programma non sarà sufficientemente "di sinistra", introduzione del reddito minimo compresa. Si tratta sulla carta di sei voti, con i quali si scenderebbe a 161, ovvero proprio alla maggioranza minima. Una cosa da cardiopalma a ogni passaggio appena importante. E poi nella minoranza del Pd i mal di pancia sono estesi e nessuno può garantire che, nel caso Pippo Civati avesse davvero il coraggio di stare all'opposizione, qualche altro senatore non sia tentato dall'aggregarsi.
Per questo motivo i renziani stanno lavorando sotto traccia a conquistare un qualche margine di sicurezza. La loro speranza è di portare dalla propria parte almeno 8 senatori, tra grillini scontenti e vendoliani perplessi. Anche per questa operazione, qualche giorno in più nella formazione del governo è solo un vantaggio.
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