1. IL GRIDO DI BATTAGLIA LO HA RUGGITO GASPARRI: “MORIRE PER BERLUSCONI SÌ, MA MORIRE PER IL TWIGA NO...”. AGGIUNGE BRUNETTA: “IL 97% DEI NOSTRI ELETTORI NON LA VUOLE!”. CHIUDE CICCHITTO: “PER SILVIO TUTTO, MA DA UN PARTITO BAVA ALLA BOCCA CAPEGGIATO DALLA SANTANCHÈ, USCIREI DOPO UN MINUTO. E TANTI FAREBBERO LO STESSO” 2. SCOPPIA UNA RIVOLTA RUMOROSA CONTRO LA DONNA FORTE DEL PDL, LA PITONESSA DANI 3. MA LA SANTADECHE’ SE NE FREGA. AI BERLUSCONES CHE L’HANNO AVVERTITA CHE NON PRENDERANNO “ORDINI DA LEI”, HA RISPOSTO CON UN CINGUETTÌO SU TWITTER PIÙ SIMILE A UN RUGGITO: “PRENDERE GLI ORDINI DA NAPOLITANO... INVECE VA BENE”. LA GUERRA, DI CUI IL BANANA NON HA ALCUN BISOGNO, È APERTA. E MINACCIA DI DURARE A LUNGO

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Paola Di Caro per il Corriere della Sera

Il grido di battaglia lo ha lanciato Maurizio Gasparri: «Morire per Berlusconi sì, ma morire per il Twiga no...». Chiaro accenno ad una foto che è diventata il simbolo del Pdl anti-Pitonessa, quello che a Daniela Santanchè non perdona quasi niente, tantomeno il suo farsi immortalare mentre fotografa con l'iPad gli aerei inneggianti a Silvio dalla spiaggia del celebre, super esclusivo stabilimento di Forte dei Marmi la cui bandiera le sventolava alle spalle.

Si mescola di tutto in quella che appare come una rivolta nemmeno tanto silenziosa contro la donna forte del Pdl, quella che comunque lui nei colloqui con gli intimi definisce «una che sfonda in tivù, che sa raccogliere fondi e noi ne abbiamo bisogno, che si fa capire e l'unica che mi difende sempre».

Che la leader dei falchi si sia ritagliata un ruolo privilegiato nel cuore e nelle riunioni riservate del Cavaliere lo riconoscono tutti nel Pdl. D'altronde è lei che ne interpreta più fedelmente il verbo quando questo si fa grido di battaglia, che tace quando il capo vuole che si taccia e che lancia anatemi quando sa che la tensione deve salire. Lei lo sa, e si guadagna spazio su spazio.

Uno spazio che anche Berlusconi ha capito che può diventare pericoloso, tanto più se fa presagire una possibile spaccatura del partito: «Daniela è capace - ha rassicurato i suoi in rivolta - ma non crediate che io abbia in testa di affidarle il partito o chissà quale ruolo. Il leader sono e resto io, e basta, io decido, non altri», ha avvertito.

«Furba», «scaltra», «approfittatrice», «terribile», pronta a fare «solo i suoi interessi» e «spietata», dicono di lei i suoi detrattori. Ma anche lavoratrice, sempre presente, capace di passare serate estive ad Arcore anche nei pochi giorni di vacanza, di «spostare gli scatoloni da via dell'Umiltà alla nuova sede di piazza in Lucina in pieno agosto quando altri non ci hanno nemmeno messo piede», per preparare campo, terreno e organigrammi della Forza Italia che verrà, ammette anche chi non la ama.

«Finirà per mangiarsi pure Verdini, che l'ha aiutata ad arrivare fin lì», dice qualcuno, accennando ad una lite che sarebbe avvenuta qualche giorno fa fra i due e che lei smentisce: «Cercano di dividerci? Si illudono».

«Porterà il partito al 3%», profetizza qualcun altro citando la protesta che lo stesso Brunetta avrebbe levato con Berlusconi: «Il 97% dei nostri elettori, caro presidente, non la vuole!». «Ci rovinerà», temono in molti, perché «non ha seguito sul territorio, né tantomeno nei gruppi parlamentari, e neanche un suo gruppo di fedelissimi di riferimento».

Insomma, come ha minacciato in uno dei non infrequenti sbotti di rabbia Cicchitto nei giorni scorsi, all'ennesima uscita della Pitonessa contro il partito guidato da Alfano a favore di uno presidenziale, senza segretario ma con dirigenti «all'orizzontale», tutti sullo stesso piano «per Silvio io faccio tutto, ma da un partito bava alla bocca capeggiato dalla Santanchè, uscirei dopo un minuto. E tanti farebbero lo stesso».

Cicchitto, appunto, non è di quelli che le manda a dire e le sue convinzioni le ha espresse senza troppe diplomazie a Berlusconi. Dubbi sul ruolo centralissimo e falchissimo della Santanchè al Cavaliere li hanno espressi anche altri esponenti delle colombe, dalla Gelmini a Lupi, compreso Gianni Letta.

Ma è nei conciliaboli di Camera e Senato che la guerra è aperta: «Se comanda lei, noi non ci stiamo», minacciano le truppe di scontenti semi-peones che non hanno ottenuto nulla in questo giro, né incarichi di partito, né posti di ministri, né ruoli istituzionali, come invece è accaduto per big del calibro di Cicchitto, Gasparri, Nitto Palma, Sisto.

In subbuglio è l'area dei fedelissimi di Fitto, sempre più lontano dal cuore del partito, per non parlare dei parlamentari del Sud che si sentono trascurati. Ma la stessa pattuglia dei ministri, capeggiata da Alfano che sul tema usa toni felpati, all'idea che sia la Santanchè a dettare legge non ci sta, né sul partito né come linea politica.

Una linea che lei condivide con un gruppo nutrito, da Capezzone a Minzolini, da D'Alessandro a Mantovani, dalla Polverini alla Calabria passando per il potente Verdini: «Siamo la maggioranza del partito, perché siamo quelli che parlano la lingua di Berlusconi», dice. Ma, allo stato, appunto, il «pericolo» che la Santanchè assuma formalmente la guida del partito non c'è.

«Berlusconi - dice uno degli uomini a lui più vicini - non le affiderà mai il ruolo di segretario o di coordinatrice: la utilizzerà perché serve nella fase di battaglia, ma ha bisogno di tenere assieme i gruppi per condurre la battaglia per la sua salvezza. E sa che non può tirare troppo la corda».

D'altronde, lei stessa si tira fuori: «Io segretario? Chi comanda è solo Berlusconi, noi siamo tutti alla pari e dobbiamo solo combattere per lui. Chi ha le idee, chi lavora, supera i ruoli», dice, dall'alto comunque del suo potente compito di capo dell'organizzazione.

È probabile che nei prossimi giorni, con la scelta di giocare l'ultima carta per la trattativa - il ricorso alla Corte costituzionale per fermare per qualche mese la decisione della giunta per le Elezioni - la Santanchè (che al Quirinale, raccontano, chiamano «la ben nota signora») e le sue grida di guerra possano essere in parte silenziate, in nome della «salvaguardia del massimo obiettivo, l'agibilità politica per Berlusconi».

Ma lei non sembra affatto pronta a farsi mettere da parte. A chi l'ha avvertita che non prenderà «ordini da lei», ieri ha risposto con un cinguettìo su Twitter più simile a un ruggito: «Prendere gli ordini da Napolitano... invece va bene». La guerra, di cui Berlusconi non ha alcun bisogno, è aperta. E minaccia di durare a lungo.

 

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