(CON)GIURATI – LUCA GUADAGNINO CONTRO LE ACCUSE DI SNOBISMO: “PREMIARE SECONDO IL GUSTO DEL PUBBLICO? DEMENZIALE” - “UNA GIURIA NON È IL MINCULPOP, SENZA FOLLIA MANCA IL SUO PILASTRO FONDATIVO”

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Malcom Pagani per "il Fatto Quotidiano"

Con idee, talento, tasche vuote e fideismo, il cavaliere che fece l'impresa di dare identità all'inesistente, Marco Müller, ancora non può togliersi l'armatura. Al sorprendente, inatteso, successo della sua seconda edizione da direttore del Festival di Roma, la critica italiana ha riservato la freddezza dell'altroieri.

Malcelato stupore per l'esito felice di un appuntamento dato per spacciato, trattenuto plauso di fronte a numeri che fotografavano il quotidiano passaggio di migliaia di persone all'ombra dell'Auditorium e tarantiniani colpi di roncola nel valutare le decisioni della giuria.

Primo premio assoluto all'esordiente Alberto Fasulo per il documentario in odor di fiction, Tir. Marc'Aurelio per la migliore attrice a Scarlett Johansson, voce telematica e presenza incorporea in Her di Jonze. Satta del Messaggero si è augurata un rapido ritorno alle giurie popolari. Mereghetti del Corriere ha parlato di mistero e follia. E tra dietrologie, accuse di snobismo e anatemi, la voce di Luca Guadagnino, il suo ragionamento.

Indisponibile a innaffiare il dardo di Paolo Virzì da Torino (la diva Scarlett avrebbe sfilato a Roma strapagata con denaro pubblico) : "Polemica assolutamente incomprensibile" dice Guadagnino, conciliante (o quasi) su tutto il resto.

Guadagnino, a tre anni di distanza da Venezia, rieccola in giuria.
All'epoca, con Tarantino presidente, fummo accusati di aver ignorato il fondamentale Noi credevamo di Martone e di aver brillato per anti-italianità. Ora all'Italia va il massimo riconoscimento, ma non sembra esserci pace comunque.

Premiare "Tir " e la voce di Scarlett ha attirato strali trasversali.
Siamo tutti arbitri, allenatori, critici cinematografici e adesso iniziamo a essere anche registi e naturalmente giurati da Festival. Le interpretazioni date al verdetto sono completamente falsate perché vittime di pregiudizi e irriducibile malafede. Cose di cui non varrebbe la pena parlare. Argomenti che meriterebbero il silenzio.

Si sforzi.
Esiste un Festival. È una competizione che allinea un certo numero di titoli. Poi esiste una giuria, selezionata da un comitato diretto da chi guida il Festival.

Si può discutere sulla scelta dei giurati?
Se anche Müller si fosse sbagliato con me, nulla si può eccepire sugli altri sei membri che ho avuto l'onore di accompagnare. Artisti che hanno un precisa e meritata collocazione nel cinema contemporaneo.

Vi accusano di aver ignorato i gusti del pubblico.
Sostenere che dovevamo omaggiare un titolo orientandoci con la stella polare chiamata ‘gusto del pubblico' è demenziale. Equivale a sostenere che non tutti e 18 i titoli sono davvero in concorso, ma solo quei 4 o 5 di comoda fruizione. Ci sarebbe da riflettere nel profondo anche sulla locuzione ‘pubblico'. Il film di Takashi Miike avrà un enorme successo in patria. Quello giapponese non lo consideriamo pubblico? Cosa sarebbe successo se lo avessimo premiato? La verità è che ci sono degli imperativi di miserabile valore che resistono in maniera profonda al mutamento inesorabile della forma cinema. Che cambia, come accade ai festival e ai gusti delle giurie chiamate a giudicare in maniera insindacabile.

Rispetto alla follia collettiva evocata da Mereghetti?
Senza follia viene a mancare il pilastro fondativo di una giuria. A Cannes hanno premiato la Vita d'Adele che potrei giudicare un film molto vecchio, noioso e ripetitivo. Posso parlare di follia ? No. Ogni giuria deve essere libera. Imputare a Müller un mancato intervento o un complotto per indirizzare le nostre preferenze è grottesco.

Come è andata la discussione?
Per premiare Tir ci sono voluti due minuti. Abbiamo deciso all'inizio della riunione che è stata divertentissima ed educativa. Ci ascoltavamo a vicenda, ci influenzavamo, ci consigliavamo. Nessuna decisione comunque è arrivata all'unanimità.

Perché proprio "Tir"?
Ha un linguaggio di ricerca che si interroga sulla rappresentazione della realtà ed è capace di muoversi al confine tra finzione e documentario. Offre speranze di rinnovamento a un cinema che negli ultimi anni ha visto premiati prima i Taviani, poi Rosi e ora Fasulo. Maestri, registi affermati e nuove leve. Al pari di Frammartino e Alice Rorhwacher. Gente che lavora per superare la stucchevole idea della gabbia prestabilita. Se poi i critici non vogliono capirlo, peggio per loro. Prima di stampare quei titoli un po' di prudenza non guasterebbe.

Perché?
Sulla stampa straniera ho letto giudizi lusinghieri sul nostro comportamento. Spiace dirlo, ma a costo di passare per provinciali, osservo che all'estero si occupano di cinema con più fascino che alle nostre latitudini. Sulla voce di Johansson, ad esempio, si discute già di altri premi.

Da noi "Her" sarà doppiato.
L'ipotesi non mi fa cambiare idea. Spero si veicolino un generoso numero di copie in versione originale, ma la giuria non è il Minculpop. Non decidiamo in base alla visione parziale di un paese come l'Italia. Siamo stati i giurati di un Festival Internazionale chiamati da un direttore che stimo e che a Roma ha permesso di ascoltare dialetti cinesi, iraniani, rumeni e americani.

E il dialetto di Zalone? Si aspettava il suo trionfo?
Prevedibile e stagionale, quasi come le polemiche.

Per qualcuno, a iniziare da Marco Giusti, Zalone è un genio.
La critica ha spesso immaginato, traslandoli, film che non erano mai quelli che vedeva davvero. E questo arbitrio, questa doppia possibilità, io la amo pazzamente.

Quindi?
Sole a catinelle riletto da Giusti è un film che mi piace moltissimo.

 

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