DAGOREPORT - NON TUTTO IL TRUMP VIENE PER NUOCERE: L’APPROCCIO MUSCOLARE DEL TYCOON IN POLITICA…
1. DAGOREPORT
Una cura omeopatica. Così la Casa Bianca vede il ruolo dell’Iran nei confronti del temuto Isis. Dopo la visita negli Stati Uniti del premier israeliano Netanyahu emerge con chiarezza la distanza delle posizioni su Teheran da parte dei due storici alleati.
Israele preme perché gli Stati Uniti non firmino il temuto accordo con l’Iran, nella convinzione che si tratti di un accordo debole, che consentirebbe al regime di Teheran di costruirsi comunque la bomba atomica. Netanyahu l’ha ripetuto con chiarezza anche nei giorni scorsi, nel suo discorso davanti al Congresso americano a guida repubblicana.
Barack Obama invece è determinato ad andare avanti sulla strada dei negoziati. Il presidente Usa è enormemente preoccupato dall’espansione del Califfato, di emanazione sunnita, e guarda a Teheran, dove sono al comando gli sciiti, come all’unica vera forza che può bloccare l’Isis.
Washington sa che l’Iran è una potenza da 80 milioni di abitanti con un esercito ben equipaggiato e fa molto affidamento nella sua determinazione contro le milizie sunnite. Agli occhi di Obama, il regime di Teheran resta “un male”, ma è un male che può scacciare un altro male in questo momento ben peggiore. Ecco la famosa cura omeopatica.
2. “L’OFFENSIVA IN IRAQ SI ARENA SUBITO”
Maurizio Molinari per “la Stampa”
FEDELI SCIITI DURANTE LASHURA A TEHERAN
Le milizie del Califfo frenano l’avanzata delle forze irachene su Tikrit mentre ad Aleppo un commando jihadista riesce a demolire il quartier generale dell’intelligence di Assad: agli estremi geografici dello Stato islamico si registrano sviluppi militari che preoccupano il Pentagono, fino al punto da fargli ipotizzare un rinvio fino in autunno della prevista offensiva su Mosul.
A Tikrit, Nord dell’Iraq, le truppe di Baghdad avanzano in periferia ma gli assalti al perimetro urbano vengono respinti. E lo stesso avviene ad Al-Dour. Le difese dello Stato islamico tengono perché adoperano kamikaze contro i governativi - ieri si è fatto saltare un jihadista americano - e i cecchini per bersagliare le retrovie. I soldati impiegati da Baghdad sono oramai 30 mila e, secondo quanto afferma il generale americano Martin Dempsey, capo degli Stati maggiori Congiunti, sono composti «per tre quarti da miliziani sciiti e per il resto da soldati».
Teheran testa un missile a lungo raggio
A guidare l’assalto a Tikrit è il generale iraniano Qassem Soleimani, capo della Forza Al Qods dei Guardiani della rivoluzione, e per Dempsey vi sarebbero «segnali positivi» in questo accresciuto ruolo di Teheran contro lo Stato islamico (Isis) nel Nord Iraq. Ma il capo del Pentagono, Ash Carter, diretto superiore di Dempsey, afferma l’esatto contrario parlando di «preoccupazione per il crescente ruolo dei combattenti iraniani in Iraq». I timori si concentrano sul rischio che, davanti un’offensiva per la riconquista del Nord guidata da Teheran, i sunniti reagiscano facendo quadrato attorno al Califfo di Isis, Abu Bakr al-Baghdadi, consolidando lo Stato islamico.
In tale cornice dal comando centrale della coalizione a Tampa, in Florida, trapela che i leader militari stanno prendendo in considerazione l’ipotesi di «ritardare fino all’autunno» la prevista offensiva su Mosul «perché gli iracheni non sono ancora pronti» ovvero continuano a mancare reparti sunniti da affiancare a quelli sciiti e curdi. «L’Iran dal 2004 non fa che contare sempre di più in Iraq, ora usano anche l’artiglieria a Tikrit e questo accresce la contrapposizione fra etnie», afferma Carter, smentendo Dempsey davanti ai senatori di Capitol Hill.
All’estremo geografico opposto di Tikrit, lo Stato islamico raggiunge la periferia di Aleppo ed è qui che un commando jihadista è riuscito a scavare un tunnel sotto la sede del quartier generale dell’intelligence aviazione militare facendovi detonare un potente esplosivo che ha demolito la struttura causando «dozzine di morti e feriti», secondo fonti locali citate dall’Osservatorio siriano per i diritti umani.
Non è chiaro quale fazione jihadista abbia messo a segno il blitz, ma colpisce la coincidenza con quanto sta avvenendo dentro Al Nusra: il più grande e meglio armato gruppo ribelle islamico si è diviso perché alcuni suoi comandanti, sostenuti dal Qatar, puntano ad abbandonare la fedeltà ad Al Qaeda, o al Califfo, al fine di «mettersi in proprio» per puntare al rovesciamento di Bashar al Assad.
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