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1. LA PRIMA GUERRA ALLA LUCE DEL SOLE. LO ZAR FA DIMENTICARE L’UCRAINA
Anna Zafesova per “la Stampa”
Vladimir Putin festeggia i suoi 63 anni non soltanto con i soliti auguri da politici, giornali e privati cittadini che fanno a gara a omaggiarlo, e con la tradizionale partita serale a hockey a Sochi, ma anche con fuochi d’artificio molto speciali. Il regalo di compleanno dei militari russi è stato l’utilizzo - per la prima volta in un teatro di guerra, sottolineano con orgoglio gli alti gradi del ministero della Difesa - dei missili lanciati contro la Siria dalle navi nel Mar Caspio. Un giorno memorabile.
È la prima volta in quasi vent’anni che la Russia può fare la guerra liberamente, senza guardarsi le spalle. In Cecenia doveva nascondersi dietro l’eufemismo della «operazione antiterroristica», in Georgia negava metà di quello che faceva, in Crimea al posto dei soldati russi c’erano gli «omini verdi» e nel Donbass addirittura non c’era nessuno: Mosca ha sempre negato il suo coinvolgimento nel conflitto, ammettendo al massimo la presenza di qualche «volontario in congedo» e bollando i droni, i militari catturati, i carri armati e i razzi multipli come allucinazione degli ucraini e calunnia della Nato.
Armi moderne
Ora il Cremlino prova l’enorme sollievo di fare finalmente una guerra a faccia scoperta, con strombazzanti annunci di raid completati con successo, vantandosi in pubblico delle nuove armi sfoderate e mostrando in tv le modernissime basi dei piloti russi a Latakia e i filmati delle bombe sganciate. I russi finalmente vivono il loro momento da americani, anche perché il nemico è lontano e comunque non produce sensi di colpa inevitabili quando si combatte contro gli ex fratelli sovietici che parlano la stessa lingua.
Quella in Siria è una guerra esteticamente gradevole, con i caccia che solcano i cieli, moralmente non impegnativa, mediaticamente scenografica e tecnologicamente efficiente.
Permette a Putin di collaudare e sfoggiare le sue armi nuove, in una vetrina pubblicitaria senza precedenti, dai missili ai caccia Sukhoi-30, e di mostrare di avere un armata temibile e moderna. Il presidente si è detto ieri molto soddisfatto del «buon lavoro del complesso militar-industriale», i critici che sostenevano che la Russia mandasse ai saloni internazionali sempre gli stessi prototipi sono stati per ora tacitati e a Mosca si spera in un shopping massiccio dopo le sfilate siriane.
Volontari dal Donbass
Una «piccola guerra vittoriosa», auspicano le Izvestia, perfetta per far pubblicità alle armi russe e risollevare il morale del pubblico dopo l’abbandono, di fatto, dell’Ucraina. Mentre i media russi, come per incanto, si sono scordati di Kiev per concentrarsi su Damasco, la Siria potrebbe anche distrarre e assorbire i «volontari del Donbass», troppo irrequieti e arrabbiati per tornare in patria.
La posizione della Mosca ufficiale resta quella di limitarsi a un’operazione aerea, ma il Pentagono ha già notato carri e artiglieria russi vicino a Latakia, e esponenti della Duma fanno capire che i «volontari» russi potranno arruolarsi con Assad.
L’operazione di terra su larga scala però è un terreno dove Putin per ora non vuole spingersi, sia perché - come l’esperienza dell’Afghanistan insegna - l’opinione pubblica russa non manda giù facilmente le bare dei soldati che arrivano da Paesi troppo lontani ed esotici, sia perché in realtà (come si è visto anche in Ucraina), i reparti russi di fanteria e parà con un addestramento di livello sono troppo pochi, e la supremazia tecnologica (come si è visto in Cecenia e in Iraq) sul terreno non è più così evidente.
LA SIRIA TRA ISIS REGIME E RIBELLI
Ci sono già stati casi di militari russi che si sono rifiutati di andare in Siria, e l’entusiasmo dei russi, nonostante la propaganda, per ora non sembra molto alto.
2. OBAMA RIMANE SPIAZZATO. ADDIO AL PIANO PER UNA NO FLY ZONE
Francesco Semprini per “la Stampa”
Evitare «un ingaggio» diretto tra forze statunitensi e russe. È la priorità assoluta che l’amministrazione di Barack Obama si è posta in questa precisa fase della crisi siriana. Un «target» di breve periodo certo, ma anche l’unico che emerge in maniera netta in questo frangente in cui le contromosse degli Usa e degli alleati occidentali appaiono non andare oltre reiterate dichiarazioni di circostanza.
Mentre la Russia procede a tambur battente con i raid nei cieli della Siria e le armate di Bashar al Assad e gli alleati sciiti si preparano alle controffensive sulle forze di opposizione al regime.
Divergenze con Kerry
Le prove muscolari di Mosca lasciano spazi di manovra assai ridotti, come dimostra il fallimento della «no fly-zone» sulla Siria, voluta con forza da John Kerry. Opzione che il segretario di Stato avrebbe rilanciato in un recentissimo incontro del National Security Council, nonostante lo scetticismo di Obama.
L’ostinazione del capo di Foggy Bottom avrebbe irritato lo stesso inquilino della Casa Bianca, convinto che un divieto di volo non sarebbe stato preso sul serio da nessuno, Mosca in primis. Difficile dar torto a Obama, che più pragmaticamente pensa ad avviare quello che viene chiamato un «de-conflict», allentamento del conflitto. «In questo momento l’obiettivo è impedire che si crei uno scontro diretto tra forze americane e russe», spiegano fonti informate a «La Stampa», secondo cui è chiaro che la Russia sta agendo molto poco contro lo Stato islamico e in maniera ben più incisiva contro le forze anti-Assad.
«La Russia sta colpendo le forze moderate con le quali gli Usa stanno cercando di operare, anziché combattere i gruppi estremisti», proseguono le fonti secondo cui questo sarà un boomerang per il Cremlino, destinato a diventare l’obiettivo principale del radicalismo islamico fuori e dentro i confini nazionali.
Isolati nella regione
Secondo Washington, Mosca si sta mettendo nei guai da sola, ma nel frattempo occorre impedire che ci sia uno scontro diretto con le forze russe. «A questo punto non si tratta di collaborare, visto che Mosca non sta cooperando con gli Usa neppure in Iraq - spiegano le fonti - ma almeno impedire situazioni in cui le forze Usa colpiscono quelle russe e viceversa». Ipotesi non poi così lontana, visto che il Pentagono riferisce che almeno un velivolo militare Usa ha dovuto modificare la sua rotta in Siria, per evitare di avvicinarsi in maniera troppo pericolosa a un jet russo.
Del resto anche Washington ha la sue responsabilità, come ci spiega Robert Baer, ex capo operativo della Cia in Medio Oriente, secondo cui «gli Usa non sono mai stati così isolati nella regione come in questo momento». La situazione a suo parere è figlia di una «politica miope», ma anche di una «cecità dell’intelligence». «Gli Usa non hanno contatti con nessuno, Siria, Isis, Al Nusra, milizie sciite e Iran - avverte - gli unici con cui parlano sono i giordani». La soluzione secondo l’ispiratore del film «Syriana», è una sola: «Avviare un dialogo con Teheran e Mosca, e subito. O con l’entrata a spinta della Russia in Siria, il rischio più imminente è l’invasione dell’Europa da parte di milioni di rifugiati».
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