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Dagotraduzione dell'articolo di Tim McGirk per "Time"
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L'Afghanistan è un posto duro in cui entrare e ancora più difficile da lasciare. Tutto in Afghanistan, la geografia, il clima, le tribù, cospira per tenere lontani i visitatori indesiderati.
E una volta che sei dentro questo labirinto di pietra, è quasi impossibile trovare la via d'uscita. Tempeste di polvere assediano l'aeroporto di Kabul, le bufere di neve ricoprono tutti i passi di montagna e banditi o combattenti talebani (che è difficile distinguerli) tendono agguati per le strade.
Per informazioni chiedere ai britannici quanto sia difficile lasciare l'Afghanistan. Durante il loro infame ritiro da Kabul nel 1842, un solo sopravvissuto su 17.500 soldati. Chiedi i sovietici, a cui andò lo stesso male. E se la storia non è un giudice qualsiasi, la partenza che gli americani dovranno affrontare non sarà facile.
Anche il fotoreporter Robert Nickelsberg ha trovato impossibile uscirne. Da quando ha camminato in Afghanistan con i mujahedin nel 1988, Nickelsberg continua a tornarci. Lo fa per curiosità , dovere e ossessione.
Lui era lì per quando i sovietici si ritirarono. Lui era lì per la feroce guerra civile che scoppiò quando il regime filo-sovietico crollò nel 1992, e i vari gruppi etnici dell'Afghanistan, pashtun, tagiki, hazara e uzbeki si combattevano l'un contro l'altro.
Le sue foto testimoniano la complessità , la bellezza selvaggia dell'Afghanistan e la sua gente. Le sue foto sono intense e in ogni immagine viene messo a nudo giù il dramma essenziale e così facendo Nickelsberg illumina i momenti cruciali della storia dell'Afghanistan, delle guerre e dei brevi momenti di quiete in mezzo, quando gli afghani riprendono fiato.
L'opera di Robert Nickelsberg è stata messa insieme in una nuova monografia "Afghanistan, una guerra lontana", edito da Prestel.
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