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Tonia Mastrobuoni per âLa Stampa'
Pare che Martin Schulz abbia fatto in queste ore il nome di Roberto Gualtieri come prossimo capogruppo dei socialisti europei. Una mossa che attesta il gran lavoro fatto in questi anni dall'eurodeputato piddino, ma che ha soprattutto il senso di prevenire la candidatura di un altro italiano alla presidenza della Commissione.
Se si conta anche Mario Draghi, sarebbero già tre connazionali con ruoli di primo piano nella Ue. Comunque, se è vero che Enrico Letta, come scritto due giorni fa da questo giornale, è stato mesi fa il nome più gettonato tra Londra e Berlino, ma a Roma è stato seppellito subito da Matteo Renzi, nella testa di Angela Merkel un italiano resta possibile.
Nella rosa dei papabili c'è per esempio Mario Monti, accanto alla premier danese Thorning-Schmidt, al ministro polacco Sikorski, al premier irlandese Kenny e agli altri nomi che circolano per la verità non solo per quella poltrona, ma per tutto il «pacchetto europeo», che comprende anche quella di responsabile degli Esteri e presidente del Consiglio Ue.
Certo è che ieri il conflitto che serpeggiava nella Grande coalizione tedesca da settimane sulla partita europea, è scoppiato in pieno. Anzitutto, è curioso che ad accompagnare la cancelliera lunedì a Bruxelles ci fosse il vicecancelliere Gabriel. Un sintomo evidente che la Spd si è già ritagliata un ruolo di primo piano nella trattativa. E al tentativo un po' brutale di Merkel di mettere in riga il Parlamento, ricordando che l'iniziativa delle nomine spetta ai governi, ha risposto ieri il capogruppo Spd, Oppermann: «I conservatori si comportano come se non ci fosse stato un voto, né un candidato dei conservatori», con evidente riferimento al congelamento dell'ipotesi Jean-Claude Juncker.
Dietro il paravento della necessità di trovare il maggior consenso possibile, con Cameron, Orban e gli svedesi che hanno mollato il lussemburghese, Merkel si sta facendo scudo dei malumori degli altri per cercare alternative. Ma i suoi alleati di governo Spd sono in trincea e insistono: silurare i favoriti significherebbe tradire il messaggio elettorale. E, tanto per alzare la posta, si sono dichiarati disponibili ad appoggiare il conservatore Juncker. Del resto, anche se Merkel ha vinto le elezioni, il suo partito ha perso punti a vantaggio sia dell'Spd, sia degli anti-euro Afd: la guerriglia a Berlino serve anche a segnalare a Bruxelles che la cancelliera non è più così onnipotente.
Interpellato al telefono, Klaus Schockenhoff, vicecapogruppo Cdu, difende la cancelliera: «Fa bene a ricordare l'importanza della procedura, il Parlamento non decide da solo. Dobbiamo evitare in tutti i modi di trasformare questa cosa in un dibattito tedesco, dobbiamo tener conto degli interessi di 28 Paesi».
Per il politico «non si tratta di far fuori Juncker o Schulz: sappiamo non c'è solo la poltrona di presidente della Commissione e sono convinto che conquisteranno un posto nel "pacchetto europeo"». Certo, però il capo dell'esecutivo è la poltrona più pesante. E sembra evidente la cancelliera non voglia una personalità forte che minacci l'intergovernativo: per Berlino deve restare quella la sede principale dove decidere i destini della Ue.
Quanto alle candidature italiane, Schockenhoff offre una chiave interessante a chi obietta che due italiani forti nella Ue sono troppi: «Draghi non è una candidatura italiana: la Bce è un'istituzione autonoma che non rispecchia interessi dei singoli Paesi, ma l'eurozona». In ogni caso, la partita è appena cominciata. Formalmente il presidente del Consiglio europeo Van Rompuy dovrà negoziare con i gruppi politici in Parlamento la candidatura alla presidenza. Ma l'ombra dei capi di Stato e di governo lo accompagnerà fedele.
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