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1. NEL CERCHIO MAGICO DI HILLARY TRA GIOVANI “DIGITALI” E VECCHIE VOLPI
Paolo Mastrolilli per “la Stampa”
Largo ai giovani digitali, e ai vecchi di grande esperienza. Il «cerchio magico» della campagna presidenziale di Hillary Clinton si sta strutturando così, mescolando le facce nuove cresciute con internet e big data, e i consiglieri più rodati che garantiscono disciplina.
I temi saranno il «capitalismo responsabile», la lotta alle diseguaglianze economiche, il rilancio della classe media sul piano interno, e la sicurezza senza avventure su quello internazionale. Ma come ha spiegato il manager Robby Mook, in un memo distribuito allo staff sabato intitolato «We Are Hillary for America», il punto centrale sarà questo: «Noi siamo una squadra. Siamo impegnati ad aiutarci l’uno con l’altro per avere successo. Siamo una famiglia, piena di diversità e talento: dobbiamo lavorare insieme, sostenerci e rispettarci, guardarci reciprocamente le spalle. La campagna non siamo noi, e nemmeno Hillary, ma gli americani, a cui dobbiamo restituire l’opportunità di costruire una vita migliore».
L’uomo di Bill
Il presidente è John Podesta, una garanzia. È stato capo di gabinetto alla Casa Bianca con Bill Clinton, poi ha fondato la think tank democratica Center for American Progress, quindi è tornato alla Casa Bianca con Obama per fare il consigliere. È lui, tra le altre cose, che ha negoziato l’accordo sul clima con la Cina.
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Il suo compito sarà far funzionare la campagna, evitando rivalità e attriti che rovinarono quella del 2008: quando parlerà John sarà la voce di Hillary, e tutti dovranno obbedire. Con sè porterà veterani come Neera Tanden, che oggi guida il CAP e suggerirà i programmi di politica interna, il raccoglitore di fondi Harold Ickes, il governatore della Virginia McAuliffe e il sindaco di New York de Blasio, che daranno appoggio e consiglio.
Il manager della campagna sarà Robby Mook, 35 anni, cresciuto a internet e big data. Ha appena guidato McAuliffe alla vittoria in Virginia, e gestirà il quartier generale di One Pierrepont Plaza per farlo somigliare alla macchina tecnologica costruita da Obama a Chicago nel 2008 e 2012. Questi aspetti saranno curati da un’altra trentenne, Stephanie Hannon, ex direttrice di Google per Product management, Civic Innovation e Social impact. Da Mountain View si trasferirà a Brooklyn, per garantire la massima efficienza tecnologica.
A dirigere la comunicazione invece ci sarà Jennifer Palmieri, che ha appena lasciato questa stessa posizione alla Casa Bianca, aiutata dal veterano Jim Margolis. Il sondaggista sarà Joel Benenson, un newyorchese senza peli sulla lingua che aveva avuto lo stesso ruolo con Obama, che gli attribuiva il merito di andare sempre al punto senza mascherare la realtà. Lo aiuterà Roy Spence, stratega politico che negli ultimi mesi ha elaborato con Hillary i dettagli della campagna.
Più morbida con Israele
La politica estera è affidata al trentanovenne Jake Sullivan e a Dan Schwerin. Jake era il braccio destro di Hillary al dipartimento di Stato, dove con William Burns aveva avviato i negoziati segreti con l’Iran. Hillary sarà più morbida con Israele di Obama, ma l’apertura a Teheran era condivisa. Gli analisti si aspettano che sarà più aggressiva sulla scena internazionale, infatti aveva appoggiato l’intervento in Libia e lo favoriva anche in Siria. Però dovrà fare i conti con la base liberal che le preferì Obama proprio perché prometteva di chiudere le guerre in Iraq e Afghanistan, e quindi dovrà muoversi con prudenza.
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Con la classe media
Gli economisti che ha ascoltato di più negli ultimi mesi, oltre ai vecchi amici tipo Larry Summers e Robert Rubin, sono stati Teresa Ghilarducci e Heather Boushey, entrambe fautrici del «responsabile capitalism». Questo conferma che punterà ad essere il campione della casse media per sanare la diseguaglianza economica.
Al fianco di Hillary, poi, ci sarà Huma Abedin, l’assistente storica che ha vissuto un dramma simile al suo, quando il marito Anthony Weiner ha distrutto la propria carriera politica mandando foto scabrose a varie donne. Huma è sopravvissuta e Hillary non l’ha mollata. Come ha fatto con Bill, che insieme alla figlia Chelsea sarà la colonna della campagna, dietro le quinte.
2. A CACCIA DI FONDI TRA LA CLASSE MEDIA PER NON SEMBRARE LA VOCE DEI RICCHI
P.Mas. per “la Stampa”
«Il problema principale saranno i soldi. Troppi soldi, e da donatori troppo ricchi. Se vogliamo evitare l’impressione negativa della campagna imperiale che fallì nel 2008, e convincere la classe media che intendiamo affrontare e risolvere l’emergenza della diseguaglianza economica, dobbiamo essere molto prudenti nella raccolta dei fondi elettorali».
Costi proibitivi
La fonte che ci spiega questo problema, al centro della seconda avventura presidenziale di Hillary Clinton, di mestiere fa proprio questo: raccoglie finanziamenti per la famiglia, da quando Bill era presidente. Da mesi stava preparando la nuova campagna, e ora entra ufficialmente in azione. Il problema è che ci vorranno un mare di soldi. Le elezioni americane costano sempre di più, e ormai ogni volta che si tengono fanno registrare il record di spesa.
Esiste un tetto massimo di donazioni per gli individui, che non possono dare più di 2.700 dollari per candidato, ma la Corte Suprema ha annullato le limitazioni per i finanziamenti offerti ai PAC, ossia i comitati politici che sostengono candidati e partiti, senza però coordinarsi ufficialmente con loro. Questo in sostanza consente a privati cittadini ed aziende di dare qualunque somma, e ha fatto lievitare enormemente i costi delle campagne. Nel 2016 gli analisti si aspettano che i due candidati alla Casa Bianca finiranno per spendere fra 2 e 2,5 miliardi di dollari per coronare il loro sogno.
Piccoli donatori
Il problema di Hillary Clinton non è raccogliere questa somma, ma come. Le due differenze principali fra lei e Obama sono il rapporto con la comunità ebraica e con Israele, molto più solido nel suo caso, e quello con Wall Street, che da sempre appoggia la famiglia. Basti pensare che Robert Rubin, il segretario al Tesoro che fece magie con Bill, veniva da Goldman Sachs, e quando lasciò l’amministrazione andò a guidare Citibank.
Hillary non avrà alcun problema a bussare alla porta dei banchieri e ricevere ascolto, ma dovrà farlo con molta prudenza, proprio per non ripetere gli errori del 2008 e proiettare l’immagine di una privilegiata della «casta» americana, che si aspetta di ricevere la presidenza sul piatto d’argento.
Alla sua sinistra, infatti, preme la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren, grande fautrice della regolamentazione delle banche e delle attività finanziarie, che finora ha giurato di non candidarsi, ma ci metterebbe un attimo a mettere i bastoni fra le ruote di Hillary, facendola apparire come la candidata dell’1% dei super ricchi invece del campione della classe media.
Il problema dei finanziamenti del resto è stato già sollevato anche per la Clinton Foundation, che ha preso molti soldi da paesi stranieri, alimentando il sospetto che ora la famiglia abbia debiti di riconoscenza da saldare, una volta tornata alla Casa Bianca. Per evitare queste trappole, i consiglieri di Hillary già puntano ad imitare la campagna «grassroot» di Obama, per raccogliere la maggior parte dei fondi attraverso piccole donazioni. Poi ci saranno anche i soldi dei banchieri, ma la trasparenza e il coinvolgimento dei sostenitori comuni sarà la chiave irrinunciabile per vincere.
[p. mas.]
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