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Massimo Gaggi per “Il Corriere della Sera”
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Hillary Clinton ha trascorso quello che è stato definito il «day one» della sua campagna presidenziale a cuocere carne sulla brace mentre Bill, che ha un conto aperto col colesterolo, ha preferito friggere hamburger vegetali. Rito ineludibile in Iowa dove in passato anche il repubblicano Mitt Romney la sua campagna l’ha iniziata per ben due volte alle fiere agricole, fra balle di fieno e grigliate di carne.
Ci sono voluti più di sei anni perché l’ex first lady tornasse in Iowa, luogo di ricordi per lei assai dolorosi. Lo Stato agricolo sperduto nelle pianure centrali ha un peso politico sproporzionatamente elevato rispetto alla sua consistenza demografica perché è dai suoi «caucus» che, tradizionalmente, iniziano le primarie per la scelta dei candidati dei due partiti alla Casa Bianca.
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Nel 2008 Hillary prese sottogamba l’impegno: si sentiva grande favorita e invece finì terza: superata non solo da Obama, ma anche da John Edwards.
Era il preavviso di una disfatta tanto imprevista quanto bruciante che porterà di lì a poco all’incoronazione di Barack Obama. Da allora Hillary si è tenuta alla larga dall’Iowa. E’ tornata domenica, formalmente per una festa campestre del partito democratico: uno «steak fry» organizzato in onore del senatore Tom Harkin che tra qualche settimana lascerà un Congresso del quale fa parte da 37 anni.
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Ma i settemila democratici accorsi alla manifestazioni sapevano bene di essere lì, oltre che per sostenere i candidati della sinistra alle prossime elezioni di «mid term», anche per assistere ad un avvio anticipato della campagna presidenziale dell’ex Segretario di Stato. Ed è stata la stessa Hillary a confermarlo ammettendo che «sì, è vero, ci sto pensando» e presentandosi sul parco di Indianola con un sonoro «Yes, I am baaaack!».
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Il pubblico l’ha acclamata, ma è presto per dire che i democratici dell’Iowa abbiano cambiato idea sul suo conto. Certo, stavolta Hillary dovrebbe correre quasi senza avversari. Secondo un recente sondaggio Cnn/Orc il 53 per cento dei democratici registrati in Iowa oggi voterebbero la Clinton. Seguono Joe Biden col 15 per cento, la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren col 7 e il radicale Bernie Sanders, un senatore del Vermont, ora eletto come indipendente, col 5 per cento.
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Ma, se Hillary punterà davvero alla Casa Bianca, il vicepresidente quasi certamente non si candiderà, mentre anche la Warren ha promesso di regolarsi nello stesso modo. Ma potrebbe sempre spuntare qualche «outsider» come il giovane governatore del Maryland Martin O’Malley che si è già fatto vedere più volte in Iowa. E la storia dimostra che il valore di sondaggi effettuato con tanto anticipo sulle scadenze elettorali è molto relativo.
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Hillary l’ha sperimentato sulla sua pelle nel 2008 e ora si muove coi piedi di piombo. In Iowa ha trovato molti sorrisi, ma diversi dei leader democratici che sei anni fa si schierarono con Obama non sono ancora convinti che stavolta sia lei il candidato giusto. E le critiche dell’ex Segretario di Stato alla politica estera del suo presidente di certo non hanno aiutato.
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Se «Hard Choices», il libro autobiografico sui quattro anni passati alla guida della diplomazia Usa, doveva essere un termometro della sua popolarità, le cose non sono andate un granché bene: con un obiettivo di vendite di 1,5 milioni di volumi, a Ferragosto, un mese dopo il lancio del libro, le copie vendute non superavano quota 225 mila. E, dopo le prime tappe, il pubblico alle presentazioni dell’opera è andato scemando. Continuano a essere difficili le scelte che Hillary deve fare.
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