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Laura Cesaretti per "Il Giornale.it"
Un rapido giro d'orizzonte nelle esternazioni del day after porta ad un solo risultato: nel Pd regna la cacofonia più assoluta.
E ieri, a difendere il fortino assediato del segretario Bersani, si avvistava il solo Nico Stumpo, il capo dell'organizzazione.
Stumpo parla, per conto di Bersani, chiudendo la porta ad «ogni forma di governissimo», come quello velatamente ipotizzato da Massimo D'Alema che, in un'intervista al Corriere, chiede «un'assunzione di responsabilità da parte delle forze principali: 5 Stelle, centrodestra e noi», in cui le presidenze delle Camere vadano a Pdl e grillini e la guida del governo al Pd. Ma non a Bersani, par di capire, visto che il suo nome non viene fatto.
Sul Quirinale e il suo prossimo inquilino, silenzio (ovviamente interpretato da molti come tacita autocandidatura). Stumpo si fa carico di ribadire che, invece, il candidato del Pd resta proprio Bersani. Il quale, a sua volta, si occupa di parare l'ultima provocazione di Grillo, che propone un governo a guida Cinque Stelle. «I numeri - dice il segretario Pd - li vede anche lui. Non pensi di scappare dalle sue responsabilità con delle battute. Ci si vede in Parlamento e davanti agli italiani».
L'ipotesi di lasciare all'ex comico la guida del governo trova però proseliti anche nelle file del Pd. «Se quella di Grillo non è tattica o provocazione ma disponibilità vera, il Pd non dovrebbe aver dubbi nell'approfondire», dice il franceschiniano Antonello Giacomelli, che del resto era stato il primo a dire che bisognava «stanare» Grillo. E a chi dal suo partito obietta: «Non mi sembrano molto più razionali quegli statisti che pensano invece di affidargli la presidenza della Camera, dandogli il potere di logorare ogni giorno il governo».
Sulla stessa linea il sindaco di Bari Emiliano e persino l'ex ministro Fioroni. Ma le linee di frattura che attraversano il partito sono molteplici. E la direzione convocata per mercoledì prossimo viene vista come un appuntamento ad altissimo rischio, anche se nessuno vuole aprire (per ora) una crisi interna devastante.
Ci sono i «giovani turchi» in rivolta contro il vecchio gruppo dirigente, sospettato di puntare ad un governissimo col Pdl: «Non glielo faremo fare, è arrivato il momento che si facciano da parte», dice Matteo Orfini; e che vogliono scalzare anche il gruppo bersaniano che comanda nel partito, il cosiddetto «tortellino magico», perché «una fase così delicata non la possono guidare Migliavacca e Errani».
«O governo con Grillo o subito al voto», tuona Stefano Fassina. Un gruppo di neo-parlamentari (Capacchione, Piccolo, Bossa) sottoscrive un appello anti-inciucio (e anti-D'Alema): «Mai col Pdl». Contro l'ex premier anche Pippo Civati: «Ma perché chi non fa più parte dei gruppi parlamentari pensa di dargli la linea?».
C'è chi, come Paolo Gentiloni, è certo che «non ci sarà un governo Bersani-Grillo»; e si appella al Pd perché con i suoi contorcimenti «non bruci le pochissime carte che Napolitano ha in mano per dare un governo al paese».
E chi, come Enrico Morando, chiama apertamente in causa il segretario: «Ha perso, dal voto è uscita sconfitta sia la sua leadership che la sua linea». E se il D'Alema ufficiale si guarda bene dall'attaccare il segretario, quello ufficioso, rivelato da Repubblica, è ben più duro: «Purtroppo è un uomo dell'800, abbiamo sbagliato moltissimo nell'ultimo mese».
Feroce anche Veltroni, che irride una campagna elettorale «affidata ad un balletto sulla terrazza del Nazareno, con gente che cantava "smacchiamo il giaguaro». Il Big bang non sembra lontano.
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