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L’HANNO FATTA NERA - LA COMUNITÀ BLACK AMERICANA CONTRO LA CANDIDATA DEMOCRATICA KAMALA HARRIS: “NON E’ AFROAMERICANA, E’ SOLO DI COLORE. NON È UNA DI NOI” - IL PADRE DELLA HARRIS E’ GIAMAICANO E L’ASSOCIAZIONE DEGLI AMERICANI DISCENDENTI DAGLI SCHIAVI LA CRITICA: “SE NON CAPISCE LA DIFFERENZA, NON PUO’ RAPPRESENTARCI...”

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Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera”

 

Ma quanto è nera Kamala Harris? La senatrice californiana che punta alla Casa Bianca può essere considerata afroamericana? La questione divide le minoranze etniche e la sinistra Usa fino ad alimentare dibattiti infuocati sulla Cnn col conduttore (liberal e nero) Don Lemon che si scontra con gli ospiti in studio sostenendo che la Harris non può essere definita afroamericana, ma solo nera, perché il padre è giamaicano.

 

Il caso sta alimentando un incendio dialettico tra chi vede nella Harris una possibile Obama al femminile e accusa i suoi contestatori di dividere i neri americani e i «puristi», radunatiti attorno al movimento #ADOS (Americani discendenti dagli schiavi), che la accusano: se non capisce la differenza tra un nero caraibico e uno con gli avi tenuti in schiavitù come può candidarsi a rappresentare i nostri interessi? Controreplica degli storici della razza: nulla esclude che anche papà Harris abbia origini simili, visto che molti schiavi africani furono portati in Giamaica e nelle altre isole caraibiche.

Kamala Harris

 

In America, si sa, i temi razziali suscitano emozione anche al di là della discriminazione praticata per secoli dai bianchi. Se ne accorse 11 anni fa Barack Obama la cui candidatura alla Casa Bianca fu contestata non solo dai birther , gli estremisti bianchi che davano credito alle teorie cospirative secondo le quali il futuro presidente non era nato in territorio americano, ma anche dagli attivisti più radicali delle comunità nere che non riconoscevano come uno dei loro un intellettuale di padre africano e madre bianca.

 

Kamala Harris:

Obama la spuntò, anche grazie all'aiuto di Michelle, afroamericana al cento per cento, e all'assenza di altri concorrenti di colore. Kamala vorrebbe ripetere lo stesso copione sbaragliando gli altri candidati alla nomination democratica per le presidenziali del 2020 già nel Supermartedì delle primarie, il 3 marzo del 2020, quando, oltre alla sua California, voteranno per scegliere l'anti-Trump anche il Texas e vari Stati del Sud.

 

Per mettere molta distanza tra sé e gli altri, la senatrice avrà bisogno non solo di conquistare una larga maggioranza dei delegati della California (lo Stato che ne elegge di più in assoluto), ma anche di prevalere nel Sud grazie alla comunità nera che già fu decisiva nelle primarie del 2008 per Obama e anche nel 2016 quando Hillary Clinton la spuntò a fatica su un Bernie Sanders che non riuscì a fare proseliti tra gli afroamericani.

 

Kamala (significa fiore di loto in sanscrito) affascina molti progressisti che vedono in lei il simbolo multietnico di una società post-razziale: madre indiana di Madras, padre giamaicano (arrivato in California per insegnare alla Stanford University).

Kamala Harris:

 

Ma la sua strategia, per prevalere su altri candidati più noti, da Sanders a Biden che ancora non è sceso in campo, ora rischia di inciampare proprio su un fattore, il colore della pelle, che le dovrebbe portare il consenso delle minoranze etniche.

 

Intanto perché c' è un altro concorrente di colore, il senatore del New Jersey Cory Booker, e poi perché, a differenza di 10 o 5 anni fa, è diventata centrale la questione delle reparations: i risarcimenti che gli eredi degli schiavi rivendicano come compenso per le discriminazioni e i danni economici subiti, generazione dopo generazione.

 

Esclusi in passato da tutti i leader democratici compreso Obama che li giudicò impraticabili, questi indennizzi sono nel programma di vari candidati della sinistra Usa, dalla Warren a Booker alla Harris.

Terreno scivoloso: i sondaggi dicono la stragrande maggioranza degli americani è contraria ai risarcimenti (68% contro 15) mentre i neri, gli unici favorevoli, dubitano che lei sia la persona giusta per gestire questa politica.

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