I BOSS? NON POSS! - LA CORTE DICE “NO” ALLA PARTECIPAZIONE DI RIINA E BAGARELLA ALL’UDIENZA DI NAPOLITANO: “SICUREZZA NAZIONALE” - MA PERCHÉ ESCLUDERE ANCHE IL POVERO MANCINO? - RIINA: “HO DIRITTO DI ESSERCI”

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1.MAFIA, CORTE ASSISE: NO BOSS AL COLLE PER SICUREZZA NAZIONALE

NAPOLITANO MANCINO E GIORGIO SANTACROCE NAPOLITANO MANCINO E GIORGIO SANTACROCE

(LaPresse) - I capimafia, Leoluca Bagarella e Totò Riina, e l'ex ministro Nicola Mancino non parteciperanno alla testimonianza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, fissata per il 28 ottobre al Quirinale. Lo ha deciso la Corte d'Assise di Palermo, rigettando l'istanza presentata dagli avvocati degli imputati nell'ambito del processo sulla presunta trattativa Stato-mafia.

 

"L'ordine pubblico e alla sicurezza nazionale" sono "interessi supremi" e possono essere "possibili motivi derogatori di quel principio di carattere generale" sulla pubblicità del giudizio. Lo ha affermato il presidente della Corte d'assise di Palermo, Alfredo Montalto, motivando l'esclusione dei boss, Bagarella e Riina, e dell'ex ministro Mancino, alla deposizione di Giorgio Napolitano, fissata per il 28 ottobre al Quirinale. Il presidente ha infatti messo in evidenza come nel caso in esame ci siano delle "particolari ragioni giustificative" come "l'esigenza di tutela di bene a rilevanza costituzionale" oltre a prerogative "di un organo costituzionale qual è la presidenza della Repubblica".

NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO jpegNICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO jpeg

 

2.MAFIA, CORTE D'ASSISE: QUIRINALE GODE DI IMMUNITÀ SEDE

(LaPresse) - "La stessa Corte dei diritti dell'uomo prevede che la pubblicità del giudizio possa cedere a ragioni obiettive e razionali, ragioni collegate a tutela di beni di rilevanza costituzionale" come "le speciali prerogative del presidente della Repubblica" e "l'immunità della sede, anche per ragioni di ordine pubblico e di sicurezza nazionale". Lo afferma il presidente della Corte d'assise di Palermo, Alfredo Montalto, leggendo nell'aula bunker dell'Ucciardone l'ordinanza che rigetta la richiesta dei capimafia, Bagarellae Riina, e dell'ex ministro, Nicola Mancino, di partecipare alla deposizione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

 

"L'articolo 205 del codice di procedura penale - ricorda il presidente Montalto - che prevede la testimonianza del Capo dello Stato, non prevede in quali forme debba avvenire. Per questa ragione la corte ha deciso di applicare in via analogica l'articolo 502, quello che prevede l'audizione del testimone a domicilio, ma nei limiti in cui tale norma sia compatibile".

 

3.AL QUIRINALE AMMESSI SOLO DIFENSORI DI FIDUCIA

NAPOLITANO  QUIRINALE  NAPOLITANO QUIRINALE

 (LaPresse) - Saranno ammessi al Quirinale per la deposizione del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, nell'ambito della presunta trattativa Stato-mafia solo "i difensori di fiducia e non i sostituti processuali se non in assenza dei difensori processuali". Lo ha affermato il presidente della Corte d'Assise di Palermo, Alfredo Montalto, rigettando la richiesta dei boss, Leoluca Bagarella e Totò Riina, e dell'ex ministro, Nicola Mancino, di partecipare alla testimonianza del capo dello Stato, fissata per il 28 ottobre. La Corte ha anche rigettato la richiesta di partecipare all'udienza della parte civile, rappresentata dai familiari delle vittime di via dei Georgofili.

 

4.MAFIA, LEGALE MANCINO: ODINANZA È NULLA, VIOLA DIRITTO DI INTERVENIRE

toto riinatoto riina

(LaPresse) - "Per noi l'ordinanza è nulla, in base all'articolo 178 del codice di procedura penale perché viola il diritto dell'imputato Mancino di intervenire personalmente all'udienza". Lo afferma uno dei legali di Nicola Mancino, Nicoletta Piergentili Piromallo, dopo che la Corte ha rigettato la richiesta di partecipare alla deposizione del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, il 28 ottobre prossimo al Quirinale. d

 

5.LA SFIDA DI RIINA: ECCO PERCHÈ AL COLLE HO DIRITTO DI ESSERCI

Giovanni Bianconi per “il Corriere della Sera

 

La cattura di Bagarella La cattura di Bagarella

«Andare al Quirinale per dare corso alla prova costituisce un atto dovuto, ma negare all’imputato il diritto di partecipare non altrettanto: non si vede perché l’imputato non debba presenziare» sostiene Totò Riina per bocca del suo difensore. Ne consegue che sia un atto dovuto anche la presenza del «capo dei capi» di Cosa nostra, «sia pure in videoconferenza», all’udienza del processo sulla presunta trattativa fra lo Stato e la mafia nella quale testimonierà il presidente della Repubblica. Se infatti il codice prevede che venga sentito nella sua residenza-ufficio per rispetto «alla funzione svolta, la norma non dice affatto che l’udienza debba svolgersi diversamente da quelle ordinarie».

 

Con una memoria di nove pagine firmata dall’avvocato Luca Cianferoni e depositata alla corte d’assise, il boss mafioso pluriergastolano insiste nella sua richiesta di assistere dal carcere di Parma all’udienza quirinalizia, sebbene lo stesso legale preveda che «per svariate ragioni» i giudici non modificheranno la scelta di escludere gli imputati. La decisione finale dovrebbe essere comunicata nell’udienza di oggi. Tuttavia il difensore di Riina sostiene che se i giudici non cambieranno indirizzo si verificherà una «violazione del diritto dell’imputato a partecipare alla udienza del “suo processo”, del processo che lo riguarda».

LA SEDE DELLA PROCURA DI PALERMO LA SEDE DELLA PROCURA DI PALERMO

 

Quasi lanciando una sfida alle istituzioni a nome del suo cliente, l’avvocato del capomafia (che nei processi fiorentini per le stragi del 1993 chiese invano di ascoltare come testimoni Oscar Luigi Scalfaro e Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica e ministro dell’Interno dell’epoca) afferma a nome del suo cliente: «Come assolutamente non poteva venti anni fa, neanche oggi il Paese può ancora permettersi la verità su quelle stragi».

 

Senza alcuna di queste valutazioni extragiuridiche, la Procura ha sostenuto il diritto degli imputati che ne fanno richiesta a partecipare all’udienza poiché l’articolo 178 del codice di procedura penale stabilisce che «è sempre prescritta, a pena di nullità (del processo, ndr ), l’osservanza delle disposizioni concernenti l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato».

 

Nel frattempo gli stessi pubblici ministeri hanno cominciato la requisitoria nel processo-gemello contro Calogero Mannino che si svolge, col rito abbreviato, davanti al giudice dell’udienza preliminare. L’ex ministro democristiano — secondo il racconto dei pentiti di mafia — doveva morire vent’anni fa nella resa dei conti scatenata da Cosa nostra contro i politici che non avevano rispettato i patti con l’organizzazione criminale.

DON VITO CIANCIMINODON VITO CIANCIMINO

 

Invece oggi è vivo e vegeto, ma sul banco degli imputati, ad ascoltare il giovane pm Roberto Tartaglia (affiancato dal procuratore aggiunto Teresi e dai sostituti Di Matteo e Del Bene) che lo accusa: «Dopo l’omicidio di Salvo Lima nel marzo 1992, terrorizzato e convinto di essere la prossima vittima, Mannino ha attivato un canale di interlocuzione diretta e occulta con Cosa nostra per salvare se stesso».

BOMBA FIRENZE VIA DEI GEORGOFILI BOMBA FIRENZE VIA DEI GEORGOFILI

 

Subì vari avvertimenti, ne parlò con i carabinieri del Ros attraverso il maresciallo Guazzelli che per questo fu assassinato il 4 aprile ’92 come «ultimo segnale» inviato all’ex ministro; gli stessi carabinieri prima lo protessero cancellandone il nome dal rapporto sui legami mafia-appalti e poi andarono a chiedere all’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino che cosa volessero i Corleonesi per fermare omicidi e stragi. Nella ricostruzione dell’accusa la trattativa cominciò così. «E da quel momento — dice il pm Tartaglia — la strategia di Cosa nostra cambia: non si uccidono più i politici “traditori” come Mannino, che era il secondo della lista, ma ci si concentra sui magistrati con l’uccisione di Borsellino e il progetto di attentato a Piero Grasso, e si passa al terrorismo puro con le stragi sul continente del 1993».

 

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Per questo motivo «la trattativa non ha bloccato i progetti criminali di Cosa nostra, li ha solo indirizzati verso obiettivi diversi». Nessuno degli imputati appartenenti alle istituzioni, ribadisce Tartaglia, è sotto processo per aver trattato con i mafiosi; sono invece accusati di aver dato un «contributo morale» alla minaccia e al ricatto mafioso verso il governo facendosene intermediari o «perché hanno dato l’input all’intermediazione occulta, come Mannino».

CALOGERO MANNINO CALOGERO MANNINO

 

Seduto un banco dietro i suoi difensori che dicono di aver già ascoltato gli episodi snocciolati dal pm nei processi per concorso in associazione mafiosa dai quali il loro assistito è uscito assolto, l’ex ministro ascolta e prende appunti. Alla prossima udienza, il 4 novembre, ci sarà la richiesta di condanna.