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Ugo Magri per La Stampa
Se al Capo va bene, il suo partito è per definizione d'accordo. Inutile dunque cercare a destra voci critiche nei confronti del Quirinale: Berlusconi ha dato precise disposizioni in proposito. Semmai chi non è d'accordo in questo momento tace. Per esempio, tutti i cosiddetti «falchi» hanno scelto dignitosamente la via del silenzio.
Non che a Verdini o alla Santanché dispiaccia un provvedimento di grazia; anzi, nel Pdl sono stati i primi a sollecitarlo. Tuttavia l'ala intransigente rimane scettica sul risultato finale. «Ci si può fidare del Colle», è la domanda formulata sottovoce , «dopo tutte le delusioni che ci ha inflitto?». Ma soprattutto, agli esponenti più combattivi non garba la condizione politica posta dal Capo dello Stato per un atto di clemenza: vale a dire la garanzia della stabilità politica, niente crisi del governo Letta e tantomeno elezioni... à un prezzo politico che sancirebbe la sconfitta dei «rapaci», che puntavano al voto in autunno magari come risultato di una rottura sull'Imu, e l'insperato trionfo delle «colombe».
Che guarda caso ieri sera volavano a stormi, con dichiarazioni di vivo apprezzamento per il Capo dello Stato. Gasparri: «Ci sono gli spiragli per un esito positivo». Cicchitto: «Si sono aperti degli spazi significativi». Osvaldo Napoli: «Napolitano ha pronunciato parole di equilibrio». Certo rimane in sospeso, come segnala Mariastella Gelmini, «il problema dell'agibilità politica di Berlusconi», non è che la nota del Colle abbia spazzato via tutti i dubbi in proposito. Però «noi ci riconosciamo in quelle parole», assicura l'ex ministro dell'Istruzione, reduce da un contatto telefonico col Cavaliere. Concetti che oggi potrebbe ribadire con forza lo stesso Alfano, nella sua veste di segretario del partito.
Però restano sottotraccia pesanti interrogativi sui destini del partito. Che tornerà a chiamarsi Forza Italia, come segnalano i cartelloni pubblicitari appesi nelle città deserte, e come ricorderanno gli striscioni trainati dagli aerei sulle spiagge di Ferragosto. Ma con quali intenzioni, e con che strategia, questo nessuno sa dirlo, perlomeno nel gruppo dirigente.
Si va delineando addirittura un conflitto d'interesse tra Berlusconi e la sua creatura politica. Se infatti il Cavaliere puntasse tutte le sue carte sulla grazia, e scegliesse di abbassare i toni come Napolitano gli impone, rinunciando a battere i pugni sul tavolo di governo e ad alimentare la battaglia sulla giustizia, gli spazi per un'iniziativa politica del centrodestra si ridurrebbero al lumicino. Viceversa, accentuare i toni della polemica fino al punto di minacciare la crisi avrebbe l'effetto di irritare Napolitano, dal quale dipende la concessione della grazia, e quindi di precludere a Silvio l'«agibilità politica» futura. Forza Italia si ritroverebbe senza il Fondatore e senza un leader...
Qualunque sia il destino di Berlusconi, sua figlia Marina non scenderà in campo. In tono alquanto seccato, l'interessata ha reso pubblica una nota in gestazione da giorni, che nega qualunque volontà di calarsi nella lotta politica. «Dal momento che ogni mia precisazione non è servita a fermare le voci, devo ribadire ancora una volta e nel modo più categorico che non ho mai preso in considerazione l'ipotesi», ha fatto sapere Marina Berlusconi. Aggiungendo l'auspicio che certi personaggi del Pdl la smettano di tirarle il tailleur e di attribuirle «un'intenzione che non ho mai avuto e che non ho». Davvero, per quanto la riguarda, si può parlare di fine del tormentone.
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