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egyptian president abdul fattah al sisi
Maurizio Molinari per “la Stampa”
«La bomba al Consolato italiano? È venuta da Dio». Bassam vende cocomeri su Naam Square, la piazza dove i Fratelli musulmani il venerdì danno battaglia contro la polizia. Non mostra dubbi sull’origine dell’attentato. Oltre 2 metri di altezza, 24 anni, jalabyia bianca e sandali, Bassam è scontento perché «da quando Al Sisi è diventato presidente la gente compra meno frutta, gli affari vanno male e i prezzi scendono ogni settimana che passa».
Per far capire cosa intende punta l’indice verso lo spaccio sul marciapiede alle spalle del suo banco: dozzine di persone fanno la fila per ritirare cibo con i buoni pasto comunali. Per 5 pound, l’equivalente di 0,6 dollari, ogni capofamiglia ha diritto di ricevere - una volta al mese - 1 kg di zucchero, 1 kg di riso, 1 kg di pasta e una bottiglia d’olio. «Senza questo cibo la mia famiglia non potrebbe mangiare» confessa George, tassista con moglie e tre figli, in paziente attesa di ritirare ciò che gli spetta.
All’angolo fra Naam Square e Ain Sham Street c’è un tabaccaio ambulante. Le sigarette sono fra i prodotti che più resistono all’impoverimento collettivo e Ibrahim, comprandone due, dà la sua versione dell’attentato alla sede diplomatica italiana: «L’Egitto va a rotoli, il governo è contro il popolo, la gente è disperata, cosa volete che facciano?». Alla richiesta di spiegare perché la rabbia contro il presidente Al Sisi investe l’Italia, Ibrahim, 70 anni, replica così: «Voi italiani dovreste saperlo, è amico vostro, no?».
STRADE INESPUGNABILI
Per i Fratelli Musulmani questa Naam Square è una roccaforte. Si sentono a casa perché è una piazza dalle dimensioni ridotte, immersa in un quartiere dove registrano grande popolarità sin dai tempi di Hosni Mubarak, e le stradine sterrate che si diramano ovunque offrono infiniti ripari dai blindati di esercito e polizia. Alcune vie sono talmente piccole e disseminate di ostacoli - carretti, spazzatura, rottami di auto e sedili improvvisati - da renderle quasi inagibili per le vetture.
EGITTO STRAGE DI MANIFESTANTI PRO MORSI
È in questi viottoli che si trovano le moschee dei Fratelli Musulmani. Non si tratta di edifici di culto con cupole e minareti bensì di palazzine occupate dai fedeli-militanti e trasformate in moschee: apponendo striscioni alle finestre e stendendo tappeti all’entrata. Sono le grandi scritte coraniche, in verde e rosso, a far capire che si tratta di moschee non «pubbliche», che nulla hanno a che fare con il governo. Anche perché i guardiani all’entrata, in jalabyia e sandali, non fanno complimenti nel respingere gli estranei.
Omar, 26 anni, vende colorati addobbi di Ramadan a fianco della moschea Fatma Zahara - intitolata alla moglie del profeta Maometto - e parla dei frequentatori quasi con soggezione: «Li vedo pregare ma non li conosco, con loro non c’entro nulla». Tanta ritrosia si spiega con il fatto che proprio da questa stradina, a fine marzo 2014, uscì un torrente di islamisti che si riversò nell’adiacente chiesa copta St. Virgin Mary. Bruciarono le auto all’entrata, i cassonetti dentro il cortile, molti arredi religiosi e la furia devastatrice travolse Mary Sameh George, donna quarantenne, che stava portando medicine per i malati e venne linciata a morte.
attentato al consolato italiano in egitto 7
Dentro la Chiesa non c’è più traccia di queste violenze, il sacrario è stato riconsacrato, le immagini sacre sovrastano i fedeli e nel cortine i protagonisti sono gruppi di Boy Scouts adolescenti con divisa celeste e bandiera egiziana cucita sul petto. Ma i sorveglianti cristiani - che all’epoca non c’erano - sono molti e ben addestrati. Vegliano sull’entrata come se fosse un confine, bevendo e mangiando durante Ramadan per sottolineare che l’uscio è una linea rossa ben definita con i musulmani.
attentato al consolato italiano in egitto 5
A dieci minuti d’auto, nella chiesa di St George il clima è diverso. Padre Paul, ex ingegnere elettronico di 55 anni, guida un gregge di 10 mila fedeli che riempie la chiesa ad ogni occasione, con canti e preghiere. «Noi cristiani soffriamo da 2015 anni, il primo fu Gesù Cristo, ciò che passiamo ci avvicina a lui», spiega, innalzando un piccolo crocefisso dorato che chiama «la mia bandiera».
«ORDINE DI UCCIDERE»
Guidare una comunità di copti nel quartiere dei Fratelli Musulmani è una missione da far tremare i polsi e Padre Paul non si tira indietro davanti alla descrizione del nemico: «Dentro la testa di alcuni musulmani, come quelli dell’Isis, avviene qualcosa di terribile, si convincono che sia Dio a ordinargli di uccidere, è diabolico, innaturale, terribile».
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È un pericolo immanente con cui il prete copto sente di poter convivere, fino al punto di riuscire a batterlo, domarlo: «La preghiera è più forte della morte, non tutti i musulmani sono come questi pazzi, l’Egitto non è la Siria o l’Iraq perché qui c’è una radice comune, millenaria». Come dire, i jihadisti di Ain Sham non rappresentano l’Islam egiziano. È un messaggio che rimbalza davanti ai cancelli dell’ateneo Ain Sham, altro terreno di battaglia fra islamisti e polizia, perché gli studenti che riposano nei giardini - è tempo di Ramadan - parlano di Isis come qualcosa di lontano e distante: «Non ci riguarda».
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