GIGGINO ‘O SPIONE - “DE MAGISTRIS SAPEVA DI INTERCETTARE PARLAMENTARI, HA CREATO UN ARCHIVIO PRIVATO CON GENCHI PER FINI PRIVATI” - LE MOTIVAZIONI-MACIGNO DELLA CONDANNA DELL’EX PM, CHE REPLICA: “È UN TEOREMA CONTRO DI ME”

1. DE MAGISTRIS DA PM SAPEVA DI SPIARE 6 DEPUTATI

Patricia Tagliaferri per “il Giornale

 

luigi de magistris e la pre giunta in un ristoranteluigi de magistris e la pre giunta in un ristorante

Era consapevole, eccome, Luigi De Magistris di violare la legge quando, ancora magistrato, nell'inchiesta Why Not, acquisiva il traffico telefonico dei parlamentari senza chiedere la necessaria autorizzazione al Parlamento. Il suo obiettivo non era affatto quello di investigare ma soltanto di accedere illegalmente ai dati di traffico dei parlamentari coinvolti nell'indagine infischiandosene di divieti e guarentigie costituzionali.

 

I giudici del Tribunale di Roma che lo scorso 24 settembre hanno condannato per abuso d'ufficio a un anno e tre mesi il sindaco di Napoli (che ora, essendo stato sospeso, riunisce la giunta in osteria) e il suo consulente informatico Gioacchino Genchi sono durissimi nel motivare la sentenza. Nelle 97 pagine del documento ripercorrono la storia del processo, ricordando le modalità con cui l'allora pm d'assalto aveva disposto illegalmente l'acquisizione dei tabulati telefonici di Romano Prodi, Francesco Rutelli, Domenico Minniti, Antonio Gentile, Giancarlo Pittelli e Clemente Mastella.

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E fa sorridere leggere nelle motivazioni della condanna uno stralcio della testimonianza resa da De Magistris nel maggio scorso, in cui l'ex pm si difendeva spiegando di non essere mica un ignaro studente di giurisprudenza: «Sapevamo che se emergeva il nome di un parlamentare non si poteva acquisire il tabulato.... penso che dovrebbe essere proprio radiato ad horas dalla magistratura un pubblico ministero che si mette ad acquisire, sapendolo, un'utenza di un parlamentare».

 

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Eppure per il Tribunale è proprio quello che De Magistris avrebbe fatto: quando ha chiesto i tabulati sapeva perfettamente che erano riconducibili a parlamentari. Lo scopo era proprio quello di «utilizzare le comunicazioni documentate dai tabulati per “incrociarne” le risultanze e collegare le inferenze di traffico con informazioni bancarie e localizzazioni sì da tracciare contatti, relazioni, movimentazioni degli onorevoli». Linfa per l'infinito archivio di Genchi e per le inchieste di De Magistris che se ne nutrivano.

 

Per i giudici il processo ha smentito che «l'indagine Why Not abbia riguardato solo di rimando i parlamentari coinvolti, a dimostrazione che il fine principale perseguito non fosse la ricerca della prova, bensì l'uso strumentale delle tecniche d'indagine telefonica in danno dei parlamentari» e l'inserimento dei dati nel cosiddetto «archivio Genchi». A dimostrazione che i due fossero d'accordo i giudici ricordano il monito che il pm rivolse al suo consulente, sollecitato a non arrestarsi di fronte a implicazioni di sorta.

 

de magistris chiusura campagna elettoralede magistris chiusura campagna elettorale

Il Tribunale ha ricostruito anche il modus operandi di De Magistris, quello cioè «di procedere senza rispettare le garanzie per le cariche parlamentari e di giustificare ex post le violazioni che fossero emerse facendole passare per un “error in procedendo” così eclatante da denotare la buona fede e comunque tale da poter essere sanato con una ratifica successiva, rinviabile a oltranza».

 

Per l'avvocato di parte civile Nicola Madia, difensore di Mastella e Rutelli, le motivazioni consentono di squarciare il velo calato sulla verità a causa della diffusione di una serie di gravi inesattezze commesse da chi si è fatto portavoce della sola versione degli imputati senza prestare attenzione a quella delle vittime degli abusi contestati a coloro che per la funzione ricoperta dovevano garantire il rispetto delle regole del procedimento penale». Neanche le motivazioni scalfiscono le certezze di De Magistris: «Si tratta di una sentenza ingiusta, intrisa di violazioni di legge - dice - Questo non è un errore giudiziario, è molto di più. È un teorema».

 

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2. DE MAGISTRIS INDAGAVA PER FINI PRIVATI

Fiorenza Sarzanini per “il Corriere della Sera

 

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Nell’inchiesta «Why not» condotta dall’allora pubblico ministero Luigi de Magistris «risulta che il fine principale perseguito non fosse la ricerca della prova, bensì l’uso strumentale delle tecniche d’indagine telefonica in danno dei parlamentari e a fini privati, d’inserimento nel cosiddetto “archivio Genchi” e d’ulteriore trattamento non autorizzato». È questo il motivo principale che ha convinto i giudici del tribunale di Roma a condannare lo stesso de Magistris e il consulente Gioacchino Genchi a un anno e tre mesi di reclusione per abuso d’ufficio. E così aprire la strada alla sospensione dalla carica di sindaco di Napoli poi sancita dal prefetto.

 

Le 97 pagine con le quali il collegio ricostruisce il processo terminato il 24 settembre scorso sono un durissimo atto d’accusa per i metodi utilizzati nelle indagini svolte quando era in servizio presso la Procura di Catanzaro. Lui reagisce in maniera altrettanto forte: «È una sentenza ingiusta, intrisa di violazioni di legge a iniziare dalla competenza».

 

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Nell’elenco delle parti civili ci sono numerosi politici: Sandro Gozi, Romano Prodi, Clemente Mastella, Antonio Gentile, Francesco Rutelli e Giancarlo Pittelli. Secondo il tribunale «i due imputati hanno perseguito pervicacemente l’obiettivo immediato e finale di realizzare la conoscibilità dei dati di traffico dei parlamentari, non chiedendo l’autorizzazione alla Camera di appartenenza pur di acquisire con urgenza i tabulati, viene desunta non da meri sospetti e illazioni, ma proviene da un contesto univoco, comprovante l’intesa raggiunta e la messa in atto di una violazione comune e consapevole delle disposizioni di legge».

Sandro Gozi ringrazia l Ambasciatore di Francia e gli invitati Sandro Gozi ringrazia l Ambasciatore di Francia e gli invitati

 

I giudici sono dunque convinti che de Magistris sapesse a chi appartenevano i numeri di telefono sui quali aveva deciso di svolgere accertamenti. E per sostenerlo citano l’interrogatorio dello stesso ex pm che aveva spiegato come la sua idea fosse che «l’analisi dei tabulati dovesse andare di pari passo con l’analisi dei flussi economico-finanziari». Per questo ritengono che «la lettura complessiva dell’intero compendio probatorio dimostra come gli elementi a carico sono dotati di tale certezza e intrinseca valenza indicativa da perdere l’ambiguità che avrebbero se isolatamente considerati».

 

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Ai due imputati il collegio attribuisce ruoli diversi ma complementari: «Il pm era dominus delle indagini in assoluta autonomia quanto a scelte investigative, puntualità delle deleghe, strategie da perseguire; il consulente come massimo esperto informatico creatore di un sistema operativo di indubbia efficienza e decisività, accreditata ancor prima dalle esperienze professionali note, di spiccato intuito investigativo».

 

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La conclusione è lapidaria: «Era in corso un preordinato disegno di eludere le prerogative costituzionali, di realizzare l’evento del reato senza curarsi dell’inutilizzabilità processuale dei dati di traffico illegittimamente acquisiti pur di arrivare a conoscerli».

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