1. TRE INDIZI METTONO IN DUBBIO IL RACCONTO DI PREITI: LA PISTOLA, LA MAPPA, IL VESTITO 2. AVEVA UNA PUNTA DI TRAPANO NELLA BORSA: CON QUELLA AVREBBE CANCELLATO LA MATRICOLA DELLA PISTOLA BERETTA, CHE NON SAREBBE STATA COMPRATA 4 ANNI FA A GENOVA 3. LA SUA CARTINA ERA SEGNATA IN TRE PUNTI, ZONE CHIAVE DEL PERCORSO FINO ALL’AGGUATO 4. ERA IN COMPLETO SCURO, COME QUELLO DEGLI AGENTI. “NON VOLEVO UCCIDERE”, DICE, MA SI È MESSO IN POSIZIONE DI TIRO E HA MIRATO A COLLO E GAMBE, UNICHE PARTI NON PROTETTE 5. HA DETTO CHE SI VOLEVA SUICIDARE, MA NON HA PUNTATO L’ARMA CONTRO DI SÉ, E PARE AVESSE ANCORA 3 COLPI IN CANNA. ALTRI 9 NE AVEVA IN BORSA. DA USARE NEL PALAZZO?

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Fiorenza Sarzanini per il "Corriere della Sera"

Una punta da trapano nascosta nella borsa. È il dettaglio nuovo che conferma i dubbi sulla ricostruzione fatta da Luigi Preiti, l'uomo che domenica mattina ha sparato contro i due carabinieri in servizio di sorveglianza davanti palazzo Chigi. Proprio con quell'attrezzo l'attentatore potrebbe aver cancellato i numeri di matricola della pistola Beretta 7,65 utilizzata per ferire i due militari.

E questo dimostra che ha mentito quando ha raccontato di aver acquistato l'arma già «punzonata» al mercato clandestino di Genova quattro anni fa. Mentre avvalora l'ipotesi, già seguita dagli investigatori dell'Arma, che se la sia procurata in Calabria prima di partire alla volta di Roma.

Sono tre gli indizi chiave che fanno comprendere come il caso non sia affatto chiuso. Tre elementi che segnano la ricostruzione dei suoi spostamenti, fino alle 11.34 di due giorni fa. Perché la Beretta rimane al centro delle indagini. Ma poi ci sono anche il vestito e una cartina di Roma «segnata» nei punti chiave, che l'uomo custodiva nella borsa rimasta a terra dopo l'agguato.

LA MAPPA SEGNATA IN TRE PUNTI
Preiti parte da Gioia Tauro alle 9.35 di sabato. All'altezza di Praia a Mare la polizia ferroviaria gli chiede una verifica dei documenti. È un controllo di routine, lui non si scompone. Ha probabilmente l'arma nella borsa, però non ha precedenti penali ed è difficile che possa subire una perquisizione. Rimane tranquillo e tutto fila liscio. Arriva alla stazione Termini alle 15. Poco dopo entra all'Hotel Concorde, appena dietro piazza dei Cinquecento. Prende l'ultima stanza disponibile.

Esce dopo poco. Racconta il portiere dell'albergo: «È uscito verso le 17. Tra le 18 e le 19 è entrato nella stanza senza uscirne più». Quando viene immobilizzato e buttato a terra dopo aver sparato, Preiti lascia cadere una borsa. All'interno ha una cartina di Roma segnata in tre punti. Sono le zone chiave che segnano il suo percorso dall'arrivo fino all'agguato.

Adesso bisognerà capire se sia stato lui a evidenziarlo oppure se qualcuno gliel'abbia suggerito. Non si sa che cosa abbia fatto in quel lasso di tempo trascorso fuori dall'hotel, ma non è escluso che abbia compiuto un sopralluogo. L'esame dei filmati potrebbe aiutare a scoprirlo. Quelli già visti dimostrano che domenica mattina ha effettuato almeno due tentativi per arrivare sotto la sede del governo, prima di sparare.

VESTITO SCURO PER FORZARE IL VARCO
Sono ancora le parole del portiere ad aiutare gli investigatori dell'Arma nella ricostruzione: «Quando è rientrato non ha chiesto la sveglia, non ha fatto colazione, non ha lasciato niente nella stanza. La domenica, verso le 9.30 è venuto da me e ha pagato il conto dicendomi che partiva. Mi sembrava tranquillo, ben vestito, con una giacca blu».

Dal telefono della camera d'albergo Preiti non fa nessuna chiamata, si sta analizzando il suo cellulare per capire se l'abbia usato per mettersi in contatto con qualcuno. Il completo che indossa è identico a quelli utilizzati dagli addetti alla sicurezza delle sedi istituzionali. La scelta accurata dimostra che l'uomo non ha affatto agito d'impeto perché disperato. Ogni sua mossa appare lucida e studiata, quasi da professionista. Quando arriva in piazza Colonna cerca di passare un primo varco presidiato dai poliziotti.

Lo bloccano perché hanno già sistemato le transenne in vista del primo consiglio dei ministri che deve cominciare subito dopo il giuramento del nuovo governo guidato da Enrico Letta fissato per le 11.30 al Quirinale. Lui gira intorno alla piazza e fa un ulteriore tentativo di fronte ad un secondo varco. Anche qui trova la strada sbarrata. Ma non si arrende. È determinato ad arrivare fino a palazzo Chigi. Decide così di far il giro dell'isolato e di arrivare dal retro. Passa di fronte a Montecitorio, sbuca di fronte alla garitta dei carabinieri.

POSIZIONE DI TIRO E PROIETTILI
Riesce ad avvicinarsi, probabilmente proprio perché è vestito in giacca e cravatta. Ma quando è al limite della piazza i militari lo fermano. A questo punto esplode la sua rabbia. Chi ha visionato i filmati ripresi dalle telecamere di sorveglianza che sono sistemate in tutta l'area afferma che si sarebbe addirittura messo in posizione di tiro.

Di certo c'è che Preiti ha mirato in quelle parti del corpo non protette dal giubbetto antiproiettile. Il brigadiere Giuseppe Giangrande viene colpito al collo. Il suo collega Francesco Negri è ferito a una gamba. «Non volevo uccidere», ha dichiarato l'attentatore nel suo primo interrogatorio. La dinamica sembra dimostrare il contrario.

Nei prossimi giorni i carabinieri del Racis dovranno verificare se la Beretta avesse sparato prima e soprattutto se sia possibile ricostruire i numeri di matricola. Secondo un primo esame nella pistola sarebbero rimasti tre colpi inesplosi. «Volevo uccidermi», ha anche dichiarato Preiti.

Non c'è alcun elemento che avvalori questa sua intenzione. Anzi. L'ipotesi più probabile è che volesse arrivare fin dentro l'androne di palazzo Chigi e lì aprire il fuoco. Nella borsa aveva altri nove proiettili. Possibile che la sua intenzione fosse di ricaricare l'arma durante l'azione? Misteri, dubbi, dettagli da chiarire per scoprire se Preiti è davvero il disperato che dice di essere o se invece dietro il suo gesto ci sia qualcosa di più.

 

 

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