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Angela Maria Erba per "la Repubblica - Edizione Roma"
Il caso Marrazzo rischia di trascinare in aula il Viminale e il ministero della Difesa. Perché nell´inchiesta sul ricatto all´ex governatore del Lazio «chi ha commesso dei reati indossava una divisa». A dirlo è l´avvocato Luca Petrucci, difensore di Marrazzo, che ieri ha annunciato l´intenzione di citare come responsabili civili i due ministeri.
Avevano un´uniforme e quindi «svolgevano la funzione di pubblici ufficiali», quei carabinieri del nucleo operativo della compagnia Trionfale che il 3 luglio del 2009 fecero irruzione in un seminterrato alla periferia di Roma, in via Gradoli, e trovarono l´allora presidente della Regione con la trans Natalì.
Da quel blitz nacque prima un ricatto e poi l´inchiesta: quattro carabinieri vennero indagati per aver organizzato tutto. Per i militari infedeli, per la trans che ospitava il governatore (indagata per cessione di droga) e per tre pusher della zona: sono otto per persone per cui la procura di Roma ha chiesto, lo scorso luglio, il rinvio a giudizio. Una decisione che ora spetta al gup e che verrà presa il 23 gennaio. Nei 26 capi di accusa che vanno dall´associazione per delinquere alle perquisizioni illegali, passando per rapina e concussione, il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e il sostituto Rodolfo Sabelli hanno prospettato anche l´omicidio volontario aggravato.
Quello del pusher Gianguarino Cafasso, morto, secondo l´accusa, per un´overdose letale. La droga, infatti, sarebbe stata ceduta dal maresciallo Nicola Testini per eliminare un testimone scomodo. Che sapeva troppo e cominciava a vantare troppe pretese. Secondo gli inquirenti, Nicola Testini, Luciano Simeone e Carlo Tagliente avrebbero «con la minaccia di gravi conseguenze costretto Marrazzo - si legge nei capi di imputazione - a compilare e a consegnare loro tre assegni dell´importo complessivo di 20 mila euro. Non solo, in quell´occasione i tre si sarebbero impossessati di 5.000 euro di proprietà in parte di Marrazzo in parte di Natalì».
I carabinieri, con l´eccezione di Antonio Tamburrino (che avrebbe solo aiutato i colleghi a commercializzare il video), si sarebbero inoltre procurati «indebitamente immagini attinenti alla vita privata di quanti si trovavano nell´appartamento» e avrebbero detenuto illegalmente, per l´accusa, un «quantitativo non esattamente determinato di cocaina che dapprima riprendevano nel video realizzato e di cui poi si impossessavano omettendone il sequestro».
I quattro militari furono arrestati nell´ottobre 2009, quando scoppiò lo scandalo. Pochi giorni dopo, il 20 novembre, morì in circostanze misteriose la trans Brenda, uno dei testimoni decisivi per l´affaire Marrazzo. Fu proprio in quell´occasione che venne riletta, sotto una luce diversa, la morte di Cafasso, avvenuta il 12 settembre del 2009 in un motel sulla Salaria.
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