“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
1- LA BUCCIA DI BANANA DI FINI E SCHIFANI...
Franco Bechis per "Libero"
L'incredibile sceneggiata che Gianfranco Fini e i suoi deputati hanno scatenato per una piccola norma messa dal governo di Mario Monti sui costi della politica alla fine si ritorcerà contro i diretti interessati. Domenica mattina, ormai scivolati fragorosamente sulla buccia di banana che loro stessi avevano gettato, Fini e il presidente del Senato, Renato Schifani, hanno fatto mezza retromarcia per dire che certo i parlamentari non hanno alcuna intenzione di sottrarsi al dovere di tirare la cinghia come gli altri italiani. La querelle per altro non era di gran conto.
A luglio scorso i deputati avevano votato nella manovra l'istituzione di una commissione che doveva stabilire entro il 31 dicembre 2011 e poi aggiornare eventualmente entro il 31 marzo 2012 se il loro stipendio complessivo era giusto, raffrontato con quello ricevuto dai colleghi dei sei principali paesi della Ue. Monti, visto che a dicembre ancora nessun risultato si stava vedendo, ha spiegato che se a fine mese quel prezzo giusto per lo stipendio dei deputati, non apparirà , verrà rivelato dal governo.
Fini e i suoi hanno urlato e strepitato: "orrore, Monti decide su quel che non deve decidere. Ha commesso un errore pacchiano, perchè gli stipendi i parlamentari se li tagliano da soli. Violazione dell'autonomia costituzionale". Peccato che a smentire Fini sia stato l'ufficio studi della Camera, che nel suo dossier sulla costituzionalità del decreto Monti ha pienamente assolto la norma incriminata sugli stipendi dei deputati: nessuna violazione dell'autonomia costituzionale.
Monti non avrebbe tagliato gli stipendi, ma solo rivelato ai cittadini italiani se la busta paga dei loro eletti era superiore o inferiore a quella dei colleghi europei. L'unica osservazione fatta la suo decreto, era quella sul "provvedimento di urgenza" con cui quegli stipendi potevano essere resi pubblici. Se fosse stato un decreto legge, solo al momento della presentazione poteva esserci la valutazione della sua urgenza. Ma per dire ok, il prezzo è giusto o non è giusto, non è necessario un decreto. Basta una comunicato o una conferenza stampa, strumenti assai più efficaci per rivelare la notizia ai cittadini.
2- TAGLI ALLE INDENNITÃ, LA NORMA SI BLOCCA...
Paola Di Caro per il "Corriere della Sera"
La maggioranza non sarà una vera maggioranza, ma stavolta insorge unita contro la decisione del governo (già bocciata dalla commissione Affari costituzionali) di prevedere nella manovra un articolo che impegna i parlamentari a decurtarsi entro il 31 dicembre le indennità portandole in linea con la media europea, altrimenti sarà l' esecutivo stesso a farlo per decreto legge.
«Non si può fare, è un' ingerenza del governo, su queste materie c' è competenza esclusiva delle Camere», hanno protestato da destra a sinistra contro una norma che di fatto stabilisce un termine ai lavori della commissione tecnica - presieduta dal presidente dell' Istat Enrico Giovannini - che da settimane sta lavorando per stabilire i parametri economici che rendano uniformi a quelli dei colleghi europei gli stipendi di amministratori, consiglieri, sindaci e parlamentari.
Perfino Gianfranco Fini definisce «inopportuna e scritta male» la decisione del governo «perché non è possibile intervenire per decreto in materia di competenza esclusiva delle Camere», affrettandosi però ad escludere che «nel Parlamento ci possa essere un' azione dilatoria o di contrasto» rispetto alla riforma.
Precisazione dovuta perché, nel frattempo, l' ira montante dei parlamentari che non vorrebbero vedersi dimezzato lo stipendio e lo sdegno dei tanti che pur disposti al sacrificio accusano il governo di «demagogia» (Maurizio Gasparri ironizza: «Io chiedo che tutti gli stipendi sopra una certa soglia, pubblici e privati, vengano tagliati. Vediamo chi è d' accordo...») ha portato ieri pomeriggio all' idea di presentare un emendamento in cui si pone un diverso termine per la fine dei lavori della commissione (si è pensato a marzo-aprile), superato il quale le Camere sarebbero impegnate a rendere effettivo il taglio «entro trenta giorni».
Un rinvio insomma, che Massimo Corsaro, vicecapogruppo del Pdl, spiega così: «Al ministro Giarda abbiamo detto chiaro che, se la norma restasse com' è, sarebbe inapplicabile, e noi potremmo altamente disattendere l' obbligo di tagliare le indennità . Stabilendo invece dei termini certi e affidando alle Camere l' obbligo di applicarlo, diamo la garanzia che la riforma si faccia». E però, in tempi grami in cui tutti sono costretti a stringere la cinghia, la mossa ha provocato un terremoto.
E le reazioni sdegnate di chi ha il sospetto, se non la certezza, che si tratti di una manovra dilatoria per rimandare a dopo, forse a mai, il sacrificio. Proteste che si affollano sui siti Internet, che arrivano nelle sedi dei partiti, e che costringono tutti alla marcia indietro e alle messe a punto. Il relatore alla manovra del Pd, Paolo Baretta, assicura che «da parte nostra non abbiamo intenzione di presentare alcun emendamento: se al presidente Giovannini servirà più tempo, ce lo farà sapere. In ogni caso, non può essere il governo a rivedere le indennità ..».
Sulla stessa lunghezza d' onda il segretario del Pdl Alfano: «Nessun rallentamento, ma su un tema così delicato il Parlamento non si faccia commissariare dal governo». E lo stesso Fini chiarisce che «non è in discussione la revisione delle indennità dei deputati», perché «in tempi brevi» i tagli arriveranno. Si tira fuori dalla querelle Pier Ferdinando Casini: «Per quanto riguarda il gruppo dell' Udc non ci sarà alcun emendamento che escluda dai tagli gli stipendi dei parlamentari».
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