RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Alessandro Barbera per “la Stampa”
Se giudicassimo l'accordo firmato a Bruxelles dall'andamento dello spread fra Btp italiani e Bund tedeschi, non ci sarebbe motivo di esultare. Ieri la forchetta di rendimento fra titoli italiani e tedeschi si è lievemente allargata. Centosessanta punti base sono nulla rispetto a quanto è costato in passato il debito italiano, eppure è abbastanza per mantenere la palma di Paese più rischioso dell'area euro, persino più della Grecia. Perché?
Gli analisti di Borsa sono soliti andare al dunque. E preso atto di tutto ciò che di storico effettivamente c'è - l'Europa si dota di un debito comune - si sono letti le condizioni alle quali saranno vincolati i 750 miliardi del Recovery Fund. Fra autorizzazioni, verifiche e monitoraggi ottenere i fondi non sarà mai una passeggiata, né sotto forma di prestiti, né tanto meno se a fondo perduto.
SANCHEZ CONTE RUTTE ALLA DISCUSSIONE SUL RECOVERY FUND
Nel mirino potrebbero finire le pensioni anticipate di Quota 100. Il documento di sessantasette pagine apparso all'alba di ieri sul sito della Commissione rappresenta per tabulas i quattro giorni di scontri fra il blocco rigorista e il resto d'Europa. A pagina sei, punto diciannove, il più decisivo dei vincoli: «I piani per la ripresa e la resilienza sono valutati dalla Commissione entro due mesi dalla presentazione».
Nella valutazione «il punteggio più alto» è per la «coerenza con le raccomandazioni specifiche per Paese». Si terrà conto «del rafforzamento del potenziale di crescita, e della creazione di posti di lavoro». Fin qui nulla di troppo complicato: si intuisce che i criteri saranno lasciati al buon senso dei leader. Ma di quanti, visto che in Europa se ne contano ventisette? Qui il passaggio più insidioso: «La valutazione dei piani deve essere approvata dal Consiglio a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, mediante un atto di esecuzione che il Consiglio si adopera per adottare entro quattro settimane dalla proposta».
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Ipotizziamo che l'Italia chieda dieci miliardi a fondo perduto, ma nel frattempo il deficit a giudizio di olandesi e austriaci resti troppo alto: se facessero proseliti, il governo potrebbe vedersi rifiutato il finanziamento. In ogni caso occorrerà spiegare con precisione che cosa si intende fare con quei soldi: «In merito al soddisfacente conseguimento degli obiettivi intermedi e finali la Commissione chiede il parere del comitato economico e finanziario».
Il comitato è formato dagli sherpa dei ministri finanziari. Ipotizziamo allora che nessuno abbia obiezioni sul contributo all'Italia, ma ci siano dubbi sull'uso che ne farà. La Commissione chiede spiegazioni, e le spiegazioni non appaiono convincenti. Rinvia la questione al Consiglio, il quale «non approva pagamenti fino a quando non avrà discusso la questione in maniera esaustiva». Il testo parla di un tempo «di norma» non superiore ai tre mesi. Non precisa invece il significato di «maggioranza qualificata».
Di certo non basterà il veto di un singolo Paese. Poi ci sono le condizioni sui singoli capitoli. Quelli relativi al finanziamento delle politiche ambientali, ad esempio, che «ogni anno» dovranno essere conformi agli obiettivi climatici dell'Unione. O - ancor più delicato per noi - la voce «efficienza della pubblica amministrazione». Al punto 128 sono indicati gli importi massimi erogabili di qui al 2027, circa 73 miliardi di euro. Qui le condizioni sono espresse in maniera generica, ma abbastanza da imporre il massimo della serietà: «Si terrà conto degli adeguamenti previsti delle retribuzioni, dell'avanzamento di carriera, dei costi relativi alle pensioni e di altre ipotesi pertinenti».
Sembra scritto apposta per l'Italia, dove l'introduzione di cosiddetta Quota 100 ha permesso di mandare a riposo migliaia e migliaia di dipendenti pubblici a 62 anni. L'accordo sottolinea la necessità di «condurre un'analisi periodica del personale che garantisca l'ottimizzazione del personale» e «la sostenibilità del regime pensionistico». Chi a Roma ha orecchie per intendere, intenda.
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