DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
1 – ILVA, ARCELORMITTAL: SENZA IMMUNITÀ IL 6 SETTEMBRE CHIUDE. MISE: IRRESPONSABILI
Dario Borriello per “LaPresse”
luigi di maio in imbarazzo davanti ad alessandro marescotti a taranto 1
Esplode nuovamente il caso Ilva, che entro il 6 settembre potrebbe chiudere nuovamente i battenti. A lanciare l'allarme per l'impianto siderurgico di Taranto è ArcelorMittal, l'azienda che ha rilevato l'intero pacchetto, sottoscrivendo una serie di accordi con le istituzioni italiane, tra i quali anche una immunità penale che copre i vertici nel lasso di tempo che occorrerà (2018-2023) per la bonifica dello stabilimento e l'adeguamento alle norme ambientali. Una misura che tra pochi mesi è destinata a sparire.
"Non sarebbe possibile per nessuna società gestire lo stabilimento di Taranto senza identificare una soluzione costruttiva all'attuale contesto", fa sapere il colosso mondiale dell'acciaio. Le ragioni di questa presa di posizione "si riferiscono al periodo necessario per l'attuazione del piano ambientale durante il quale sono richieste e sono attualmente in vigore le tutele legali". Dunque, precisa ancora ArcelorMittal, "l'entrata in vigore del decreto Crescita non consentirebbe ad alcuna società di gestire l'impianto oltre il 6 settembre, una data che è stata fissata dal governo, a meno che non sia garantita la necessaria tutela ambientale".
L'azienda non chiude le porte al dialogo con il governo, anzi "continua a sperare in una conclusione soddisfacente che consenta di continuare a investire in modo significativo nell'industria siderurgica italiana". Ma la reazione del ministero dello Sviluppo economico, contro la decisione assunta dai nuovi proprietari dell'Ilva, è stata accolta molto male: "L'avvio della Cassa integrazione per i lavoratori, tramite comunicato stampa, è un atteggiamento irresponsabile che mina l'equilibrio sociale del territorio di Taranto".
di maio in prefettura a taranto 16
Un equilibrio, chiariscono da via Veneto, "messo già a dura prova in questi decenni e che crea allarmismo e tensione, frutto anche delle dichiarazioni dell'ad di Arcelor Mittal Europa, Geert Van Poelvoorde, sulla presunta chiusura dello stabilimento". Il vicepremier Luigi Di Maio e il suo staff, però, vogliono "trovare una soluzione assieme ad ArcelorMittal - fanno sapere fonti del Mise - visto che, come già detto, l'azienda era stata informata già a febbraio 2019 degli sviluppi circa la possibile revoca dell'immunità penale introdotta nel decreto Crescita". Alla base del provvedimento, infatti, c'è la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Gip di Taranto l'8 febbraio scorso sui diversi provvedimenti (tra cui proprio l'immunità penale) emessi dai governi precedenti per salvare lo stabilimento pugliese.
Le parti dovranno incontrarsi per avviare un dialogo. Intanto in campo scende anche l'altro vicepremier, Matteo Salvini, che a 'Porta a porta' (Rai1) rivela che a suo parare l'immunità non doveva essere toccata: "Io l'avrei lasciata, tanto che abbiamo presentato un odg", ma "il ministro Di Maio mi assicura che Ilva non rischia e io mi fido".
L'importante è evitare il peggio: "Non possiamo permetterci la chiusura dello stabilimento - ammonisce il segretario della Lega -: sono 11mila posti di lavoro diretti e altrettanti indiretti. Per carità la tutela ambientale, ma gli imprenditori arrivati adesso hanno ereditato una situazione disastrosa e, in nove mesi, non possono sistemarla". Dura anche la reazione delle opposizioni, che colpiscono duramente all'indirizzo dell'esecutivo. Come il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, che twitta: "Gestione del caso Ilva, altro crimine di questo governo contro l'Italia". L'estate già calda, rischia di diventare rovente.
2 – ILVA, SALVINI: NON POSSIAMO PERMETTERCI LA CHIUSURA
(LaPresse) - Sull'ex Ilva "non ci possiamo permettere la chiusura: sono 11mila posti di lavoro diretti e altrettanti indiretti.
luigi di maio in imbarazzo davanti ad alessandro marescotti a taranto 3
Per carità la tutela ambientale, ma gli imprenditori arrivati adesso hanno ereditato una situazione disastrosa e, in nove mesi, non possono sistemarla". Così il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, durante la registrazione della puntata di 'Porta a Porta' che andrà in onda stasera.
3 – PERCHÉ ARCELORMITTAL POTREBBE LASCIARE L’ITALIA. E IL DANNO SAREBBE ENORME
Paolo Bricco per www.ilsole24ore.com
Questa è la settimana in cui sull’Ilva non può più cambiare niente e in cui, allo stesso tempo, può cambiare tutto. I Cinque Stelle sono stati coerenti con la loro idea della inconciliabilità di salute e lavoro. La Lega non ha avuto la forza per tutelare gli interessi della sua antica base elettorale, il Nord che usa l’acciaio.
Dunque, questa settimana una cosa non può più cambiare: lo scudo giuridico per reati compiuti prima dell’arrivo di Arcelor Mittal a Taranto è stato eliminato. Allo stesso tempo, questa settimana può cambiare di tutto. Perché Arcelor Mittal, di fronte alla cancellazione definitiva dello scudo giuridico che è intrinsecamente unito alla possibilità di fare funzionare un impianto tecnicamente sotto sequestro, può scegliere come comportarsi: rimanere esponendo, in caso di problemi, i suoi azionisti e i suoi manager alle valutazioni della magistratura; andarsene giudicando insostenibile il mutamento del quadro giuridico che, a sua volta, ha modificato in misura radicale l’assetto contrattuale. E, a quel punto, succederebbe un’altra cosa: l’eco di una uscita di Arcelor Mittal sarebbe enorme e lederebbe la reputazione del nostro Paese in tema di capacità di respingere - più che attrarre - gli investimenti.
di maio in prefettura a taranto 14
Punto primo: l’eliminazione dello scudo giuridico, che garantisce fino al 6 settembre ad Arcelor Mittal la non punibilità, è appunto cosa fatta. Come ha scritto più volte Carmine Fotina , la tecnica parlamentare e i tempi dell’attività legislativa ne impediscono una rimodulazione. A meno che dalla prossima settimana la Lega non compia una scelta dirompente, magari pressata in particolare dagli acciaieri del Nord e in generale dagli imprenditori manifatturieri di tutto il Paese che adoperano l’acciaio di Taranto per realizzare infrastrutture, grandi ponti, componenti per l’automotive industry e per gli elettrodomestici.
Questa scelta dirompente consisterebbe nella definizione di un’altra misura che cancelli quella attuale. Il problema è che il dossier Ilva, come dimostra la formazione a testuggine guidata ieri da Luigi Di Maio a Taranto, è per i Cinque Stelle strategica. E, dunque, la costruzione di una maggioranza politica diversa dall’attuale avrebbe esiti tutti da chiarire. Potrebbe essere: se Salvini decidesse di aprire il Governo come una confezione di tonno, l’Ilva sarebbe l’apriscatole giusto.
Punto secondo: da questa settimana in avanti, tocca ad Arcelor Mittal muovere. Arcelor Mittal ha detto che non accetterà passivamente questa situazione. Lo può fare: ha in affitto l’Ilva, ne diventerà proprietaria soltanto nel luglio 2021. C'è l’obbligo di acquisto. Ma con l’eliminazione dello scudo è cambiato tutto. I costi sostenuti sono finora minimi: i costi operativi più i 15 milioni di euro di affitto al mese, pagati anticipatamente per sei mesi. La situazione in acciaieria non va bene: secondo più di un osservatore, Arcelor Mittal perderebbe in Italia un milione di euro al giorno. Più di quanto avesse preventivato.
Punto terzo: se Arcelor Mittal andasse via, Taranto rischierebbe di diventare come Bagnoli. Non è terrorismo psicologico. In questa situazione occorre essere razionali. E la razionalità insegna che lo Stato italiano è uno stato con la s minuscola. Debole, fragile, umbratile. Ad esso, toccherebbe un’opera di bonifica straordinaria dell’impianto e dell’ambiente circostante. Inoltre, la mano pubblica - non facciamo distinzioni fra Stato e Governo - oltre all’immane problema ambientale, dovrebbe occuparsi di trovare una nuova specializzazione produttiva a Taranto, a lungo capitale industriale del Sud.
La diversificazione produttiva di Taranto è un grande classico della politica italiana, buono per tutte le stagioni. I politici di ogni orientamento, anche favorevoli al mantenimento della acciaieria, l’hanno prospettata. Il più convinto fu Renzi. Ma anche Gentiloni ha perseverato. È un meccanismo tipico delle nostre drammatiche crisi nazionali: prendi soldi già stanziati, li impacchetti, gli dai un nome diverso e li destini ad attività plurime. L’attuale Governo ha fatto la stesso.
Quarto e ultimo punto: se Arcelor andasse via, sorgerebbe appunto il dubbio sulla capacità dello Stato italiano di bonificare l’acqua, la terra e il mare di Taranto e di migliorare le condizioni di salute di cittadini - italiani - che soffrono l’impatto durissimo di una delle più dure industrie di base del Novecento. Se Arcelor andasse via, con la eliminazione delle condizioni giuridiche precontrattuali di una gara d’asta internazionale, ci sarebbe invece una certezza: nessun investitore internazionale verrebbe più in Italia. Non c’è molto altro da dire.
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