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Salvo Palazzolo per "Repubblica.it"
C'è un tesoro nel cuore di Roma: 60 milioni di dollari ben custoditi nel caveau di un istituto di credito. à un tesoro che puzza, perché quelle banconote sarebbero le tangenti pagate ai politici della Prima Repubblica, fra il 1986 e il 1988. A scoprirne le tracce è stato un ufficiale della Guardia di finanza, che per settimane ha agito sotto copertura, su mandato della Procura di Palermo, per cercare di scoprire i canali di riciclaggio di Cosa nostra: ma invece dei soldi della mafia, sono spuntati i soldi dei politici.
A gestirli era un'efficiente agenzia del riciclaggio, che poco a poco ha abboccato all'amo dell'agente sotto copertura: a fine ottobre, l'infiltrato è stato ammesso a trattare con il capo dell'organizzazione, che era uno degli ex prestanome di Massimo Ciancimino, il tributarista palermitano Gianni Lapis, arrestato venerdì dai finanzieri a Roma.
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Il 31 ottobre, in una stanza del Grand hotel di Salerno, c'erano da un lato Lapis e due rappresentanti della "proprietà ", così si qualificarono. Dall'altro, l'agente sotto copertura: aveva addosso una microspia, che in tempo reale trasmetteva le voci di quella trattativa nella sala operativa del nucleo speciale di polizia valutaria della finanza, a Roma.
Fu un faccendiere originario di Taranto, Angelo Giudetti, a spiegare che l'operazione sarebbe iniziata con il cambio in euro di un milione di dollari. Era una sorta di prova generale per il cambio dei 60 milioni: "Giudetti spiegò che tale provvista aveva un'origine di natura politica", ha scritto l'agente sotto copertura nel suo rapporto finale al procuratore aggiunto Antonio Ingroia e ai sostituti Lia Sava e Dario Scaletta.
"Giudetti disse in particolare che quei soldi provenivano da tangenti versante durante gli anni 1986, 1987 e 1988. Aggiunse tra l'altro che in quel periodo la corruzione avveniva mediante il versamento di tangenti in valuta estera, perché non soggetta a svalutazione determinata in quel periodo da altissimi tassi di inflazione".
Erano state fissate anche le modalità di incontro e di pagamento: nel giorno prestabilito, un rappresentante della "proprietà " sarebbe andato con un collaboratore dell'agente sotto copertura, uno specialista nell'analisi delle banconote, in un istituto di credito romano: "Lì, avremmo potuto fare le nostre verifiche", così prosegue il racconto dell'infiltrato. "Contestualmente, un emissario del gruppo dei venditori avrebbe preso visione degli euro che intanto erano stati messi a disposizione per l'indagine di Palermo".
La richiesta della "proprietà " era stata chiara: in cambio dei 60 milioni di dollari, si sarebbe dovuto pagare quasi 40 milioni di euro. Ma la trattativa si è interrotta prima della conclusione. Lapis e altri cinque faccendieri sono stati arrestati venerdì, con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio.
Dice il procuratore aggiunto Ingroia: "Con questa indagine abbiamo avuto la conferma che esistono strutture finanziarie illecite di servizio a disposizione delle organizzazioni criminali, ma anche di ambienti tangentisti, che hanno bisogno di ripulire i profitti delle loro attività ".
Il comandante del nucleo speciale di polizia valutaria, il generale Leandro Cuzzocrea, spiega: "E' una delle prime volte che viene applicato in Italia lo strumento dell'agente sotto copertura, previsto dalla legge, per un'indagine antiriciclaggio".
Adesso, è caccia al caveau di Roma dove sarebbero nascosti i 60 milioni di dollari. Da alcune intercettazioni fra il faccendiere di Taranto e un misterioso "Mario" ci sono delle indicazioni e una pista di ricerca ben precisa.
GIANNI LAPISMassimo CianciminoAntonio Ingroia
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