DAGOREPORT – SE C’È UNO SPIATO, C’È ANCHE UNO SPIONE: IL GOVERNO MELONI SMENTISCE DI AVER MESSO…
Mattia Feltri per “La Stampa”
«Non mi riferisco a un rischio di cesarismo, perché, francamente, quando sento parlare di Renzi non mi sembra un Cesare, ma più che altro il Cesaretto della trattoria di via della Croce». E dopo questa frase, pronunciata ieri mattina nell’aula di Palazzo Madama, anche Augusto Minzolini è entrato ufficialmente nel Pantheon (lavori in corso) dei cinque stelle.
minzolini consiglio nazionale forza italia foto lapresse
Applausi al Direttorissimo, quello del Tg1 con fama di superberlusconismo. E riapplausi più tardi, con boato, quando Minzo ha detto al governo che allora il Senato era meglio cancellarlo del tutto: «A demagogo, demagogo e mezzo». Guarda un po’ che succede. Già la scorsa settimana si era sentito, dai grillini, l’elogio del governo Berlusconi che nel 2006 portò a casa la riforma costituzionale senza tante rudezze d’aula – e per non parlare del leader ombra dei senatori cittadini: il leghista brutto e cattivo, Roberto Calderoli. «Se c’era Calderoli, al posto suo...», ha detto con rimpianto a Piero Grasso uno del Movimento.
Questo tremendo dibattito parlamentare – testoni di maggioranza contro testoni d’opposizione – sta almeno consegnando lo spettacolo delle truppe anticasta alla scoperta della Casta che non è così asserragliata nella fortezza, non così tetragona nello schiacciare il popolo umile sotto lo stivale, a sorpresa così inafferrabile, anzi fragile, percorsa da lotte intestine e diserzioni, sempre che l’immagine regga ancora.
Applausi al dirimpettaio di Minzolini, Corradino Mineo, che senatore lo era già, alla Rai serva e corrotta. Applausi a Massimo Mucchetti, il potente editorialista economico del “Corriere della Sera” – la cattedrale dei poteri forti, sempre secondo la verità grillina – che come Mineo e Minzolini si ribella all’ordine costituito.
Tutti i simboli del male paiono essersi tolti la maschera nera e sotto c’era un viso candido. Per esempio Enrico Buemi, un socialista e nientemeno, uno dell’Ulivo, uno venuto su nella Prima Repubblica che ieri ha detto: «Com’è possibile allora che noi chiediamo agli italiani di rispettare le leggi che noi da questo Parlamento violiamo?». È quasi venuta fuori la ola e poi tutti rispettosi, i cinque stelle, quando Buemi li ha rimproverati di avere a loro a volta piegato le regole, cancellando il voto segreto sulla decadenza di Berlusconi.
Applausi per Buemi, alla fine, e applausi su applausi, uno via l’altro, per Vincenzo D’Anna che nella mitologia grillina dovrebbe essere un monumento all’inciucio baronal-camorristic-politico: democristiano, berlusconiano, addirittura cosentiniano, presidente di FederLab Italia, l’associazione dei laboratori privati di analisi, membro da medico di tavoli tecnici ministeriali; e soprattutto entusiasmante oratore – scoperto giusto in questi giorni – che sfotte il Pd e il governo, fra il giubilo a cinque stelle, con alte citazioni di Krusciov, di Camus, di De Gaulle, intanto che procede con deliziose incertezze di pronuncia («ostruzionisme», «circostanzo», «emendamenta»).
Applausi a Vannino Chiti, notabile del Pci-Pds-Ds-Pd. Applausi a Mario Ferrara, di cui in altri tempi si sarebbe fatta la caricatura derobertiana del comando tentacolare siciliano: berlusconiano vicino a Micciché, eletto senatore a Palermo Settecannoli, consulente per la Regione, ora nelle Grandi autonomie; ebbene applausi, applausi, ovazioni quando prende la Costituzione e dice che se ne sta facendo scempio, e la sbatte sul banco con gesto plateale. Applausi al montiano Salvatore Di Maggio, applausi al leghista Sergio Divina, detto Il Purga per come epurava agli ordini di Umberto Bossi. E applausi, nell’unica volta che s’è alzato a contestare la riforma, anche a Giulio Tremonti, Bilderberg o non Bilderberg.
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