“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
Alessandro Trocino per il “Corriere della sera”
La politica, si sa, è volubile. Per Beppe Grillo Matteo Salvini prima delle elezioni era un «bugiardo», «un traditore», «uno che ha rubato». Poi, con la nascita del governo, è diventato uno «affidabile», uno «che quando dice una cosa, poi la mantiene». Il vento è cambiato ancora e ora il leader della Lega, da alleato affidabile è diventato il bersaglio di un tiro incrociato furibondo da parte dei 5 Stelle. Nel lancio di aggettivi si esercitano sia i piani alti sia peones, che finora tacevano per convenienza o convinzione.
Evidentemente è arrivato l' ordine di scatenare l' inferno in funzione delle Europee, perché l' elezione è proporzionale e dunque ognuno va per sé (non che al governo si sia compattissimi, per la verità). E nella guerriglia anti-Lega il Movimento sta per mettere in campo un drappello di descamisados, i meno di governo e più di lotta a disposizione: la pasionaria Paola Taverna, il battitore libero Gianluigi Paragone e, ultimo ma non ultimo, il guerrigliero riluttante Alessandro Di Battista.
Che era dato per disperso e invece in un soprassalto di orgoglio e nostalgia ha annunciato che sarà della partita e combatterà al fianco del Movimento, accettando di sedersi sui velluti del Parlamento, in un ruolo che ha sempre considerato inadatto alla sua irrequietezza movimentista.
Il target, più che la Lega, è Salvini in persona. Il caso della bambina di Napoli, ferita in una sparatoria, fa reagire molti. Non c' è soltanto Nicola Morra, presidente della Commissione antimafia, che verga una sorta di telegramma di accuse («Titolare Viminale si occupasse di contrasto alla mafia»). Perché se Roberto Fico invita ecumenicamente all' unità contro la camorra, il suo fedelissimo Luigi Gallo spiega che Salvini sta facendo troppo poco e potrebbe fare molto di più: «Il ministro dell' Interno dovrebbe dare forza ai grandi eroi dello Stato, delle forze dell' ordine e del ministro della Giustizia per il supporto ai magistrati e a chi combatte la criminalità organizzata».
Lo conferma la deputata Conny Giordano, che spiega: «Salvini deve garantirci la sicurezza. È venuto più volte a Napoli, ha fatto molte promesse ma nulla è cambiato». Cambio di tono e di persona: «Se lo ricordi, caro ministro, quando verrà a chiedere i voti qui al Sud».
Ed è sempre nel ruolo di responsabile della sicurezza che parla Paola Taverna, la quale si scopre improvvisamente una verve da indignata di sinistra contro CasaPound, definita, con un qualche eccesso d' agonismo, «un pericolo per l' umanità». La senatrice chiede a Salvini «in quanto responsabile dell' ordine pubblico di attivare tutte le sue forze. Siamo stufi».
Anche il ministro Alfonso Bonafede è un po' stufo dei retroscena che raccolgono l' indignazione di Salvini per il caso Siri: «Non c' è stata nessuna imboscata, Conte aveva parlato con il sottosegretario». Di Maio reagisce colpo su colpo, dalla flat tax alle Province («Se le vuole ricostituire, si trovi un altro alleato») fino alla «destra di sfigati» che va al congresso della famiglia di Verona.
Degna di nota la reazione della sindaca Virginia Raggi, che dopo tante batoste prova a rialzare la testa in un video nel quale fa i conti con le molliche di pane, per semplificare il concetto allo «studente» Salvini. Intanto, Alessio Fantinati se la prende con la «mistificazione» che stanno portando avanti «gli amici della Lega» sull' autonomia del Veneto: «Ma i cittadini non sono stupidi».
Altro argomento, altro giro di giostra: «La guerra della Lega alla filiera della canapa e della cannabis light è assolutamente ingiustificata», dice Doriana Sarli. Matteo Mantero concentra il tiro su Salvini: «È folle e sconfortante che un ministro dell' Interno non riesca o non voglia capire le differenze tra sostanze. Ed è indegno che un ministro si permetta di chiamare spacciatori dei contadini e commercianti. Se continua così, gli unici a festeggiare saranno gli spacciatori veri». Poi l' affondo vernacolare, perché si sa che quando si è arrabbiati davvero, si comincia a parlare la propria lingua: «Salvini la smetta di dire belinate».
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