1- INGROIA SFIDA L’IMMUNITÀ DI RE GIORGIO NAPOLITANO: “SE CI FOSSE UN’INTERCETTAZIONE RILEVANTE NEI CONFRONTI DI UN INDAGATO CHE PARLA CON UNA PERSONA COPERTA DA IMMUNITÀ, SECONDO NOI QUELL’INTERCETTAZIONE SAREBBE UTILIZZABILE” 2- INGROIA RICORDA AI CRONISTI CHE C’È UN PRECEDENTE: “NON È VERO CHE È LA PRIMA VOLTA CHE CAPITA. L’EPISODIO IN CUI FU COINVOLTO SCALFARO È MOLTO SIMILE”. SI RIFERISCE ALL’INTERCETTAZIONE DEL 1993 TRA L’ALLORA CAPO DELLO STATO E L’EX AD DELLA BANCA POPOLARE DI NOVARA, CARLO PIANTANIDA, PUBBLICATA NEL 1997 DAL “GIORNALE” 3- I GIURISTI DEL QUIRINALE LA PENSANO BEN DIVERSAMENTE: QUELLE INTERCETTAZIONI DEL PRESIDENTE E NON SOLO DEL SUO CONSIGLIERE GIURIDICO LORIS D’AMBROSIO, SONO VIETATE E, IN OGNI CASO, DOVEVANO ESSERE SUBITO INTERROTTE E POI DISTRUTTE” 4- L’EX MAGISTRATO GERARDO D’AMBROSIO: “IL PRESIDENTE NON È AL DI SOPRA DELLE LEGGI”

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1 - INGROIA NON VUOLE FERMARSI: «QUEI NASTRI SONO UTILIZZABILI»
Anna Maria Greco per "il Giornale"

La distanza, tra Quirinale e Procura di Palermo, appare abissale. Ed è tutta nella frase del pm Antonio Ingroia, quasi una sfida al Colle:«Se ci fosse un'intercettazione rilevante nei confronti di un indagato che parla con una persona coperta da immunità, secondo noi quell'intercettazione sarebbe utilizzabile».

Siede accanto al procuratore capo Francesco Messineo l'aggiunto palermitano, che è titolare con altri dell'inchiesta sulla presunta trattativa fra Stato e mafia dopo le stragi del '92. È appena finita la riunione tra gli inquirenti convocata in fretta a fine mattinata nel palazzo di Giustizia, subito dopo la notizia che il Colle ha sollevato il conflitto d'attribuzioni davanti alla Corte costituzionale per le intercettazioni tra Giorgio Napolitano e l'ex ministro Nicola Mancino, e vengono ammessi i giornalisti.

I toni di Ingroia sono diversi da quelli concilianti di Messineo, secondo il quale sono state rispettate «tutte le norme a tutela del presidente della Repubblica » e «non sono state violate le sue prerogative». Con più forza, il pm rivendica il diritto dei magistrati di valutare la rilevanza o meno delle intercettazioni, sostenendo che questa posizione «è confortata da illustri studiosi». Ma i giuristi del Quirinale la pensano ben diversamente: quelle probabili intercettazioni del presidente e non solo del suo consigliere giuridico Loris D'Ambrosio, sono vietate e, in ogni caso, dovevano essere subito interrotte e poi distrutte.

Messineo si dice «sereno», assicura di aver dato chiarimenti all'Avvocatura dello Stato e gioca tutto sulla distinzione tra «intercettazioni preordinate, che sarebbero state illecite e vietate»e un'intercettazione «occasionale e di fatto in sé imprevedibile e inaspettato». Come in questo caso, che per lui «sfugge» a quelli previsti dalla legge per il divieto assoluto di ascoltare il Quirinale. «Mai - assicura - la Procura avrebbe attivato una procedura diretta a controllare o comprimere le prerogative attribuite al capo dello Stato».

Ingroia non rimane sulle generali, difende le scelte fatte e l'utilizzabilità dei file. «L'intercettazione sarebbe rilevante­ precisa- nei confronti della persona intercettata, non certo dell'altra persona coperta da immunità. Ma non esiste alcuna intercettazione rilevante nei confronti di persone coperte da immunità. E ricordo anche che per le persone non coperte da immunità non c'è alcun bisogno di autorizzazione a procedere».

L'aggiunto guida il pool titolare dell'inchiesta, di cui fanno parte i sostituti Nino Di Matteo, Lia Sava e Guido Palermo. È chiaro che non ha alcuna intenzione di riconoscere di aver commesso un errore, violando i confini dell'immunità quirinalizia.

E ora le conversazioni di Mancino con Napolitano, come già quelle con D'Ambrosio, rischiano di essere divulgate dopo l'udienza-filtro, quando il Gip ne valuterà con le parti appunto la rilevanza penale nel processo o disporrà l' eventuale distruzione dei file. Sempre se prima non interverrà l'alt della Consulta.

Ingroia ricorda ai cronisti che c'è un precedente: «Non è vero che è la prima volta che capita. L'episodio in cui fu coinvolto Scalfaro è molto simile». Si riferisce all'intercettazione del 1993 tra l'allora capo dello Stato e l'ex Ad della banca popolare di Novara, Carlo Piantanida, pubblicata nel 1997 dal nostro giornale. Messineo precisa che la decisione di sollevare il conflitto d'attribuzione «non influirà in alcun modo sui tempi della richiesta di rinvio a giudizio nell'ambito dell'inchiesta». Indirettamente conferma che le intercettazioni tra Napolitano e Mancino sono negli atti della Procura. Ma, dice, «il problema non è dove sono, è se è legittimo poterle fare».

2 - GERARDO D'AMBROSIO: "IL PRESIDENTE NON È AL DI SOPRA DELLE LEGGI"
Marco Lillo per il "Fatto quotidiano"

La Procura di Palermo ha rispettato la legge e io al loro posto avrei fatto esattamente lo stesso. Parola di Gerardo D'Ambrosio, 71 anni, senatore della Repubblica nel gruppo Pd. Fu proprio l'allora Procuratore aggiunto di Milano il protagonista del caso invocato come precedente dalle due parti in causa. A favore della distruzione delle telefonate dai giuristi di complemento del Colle. A favore della liceità dell'intercettazione indiretta del Capo dello Stato, dal Procuratore aggiunto Antonio Ingroia. E il verdetto di D'Ambrosio è netto: "Da ex magistrato dico che non esiste una norma che permetta di fare quello che chiede il Quirinale. Non solo. Da politico io sarei contrario a introdurla".

Senatore D'Ambrosio, lei è stato eletto con i Ds, lo stesso gruppo dal quale proviene il Capo dello Stato ma si occupò del caso nel quale fu intercettata nel 1993 la telefonata tra il presidente Scalfaro e il banchiere Carlo Piantanida. Secondo alcuni politici e giuristi vicini al presidente quel precedente avrebbe imposto la distruzione delle telefonate nel caso Mancino-Napolitano.
Noi depositammo la telefonata perché non esiste una norma che permetta di distruggere le telefonate senza nemmeno sentire le parti. Questa norma non c'era allora e non c'è nemmeno adesso.

Eppure il Quirinale ieri ha emanato un decreto per sostenere che le telefonate del Capo dello Stato, secondo la Costituzione che ne prevede l'immunità, devono essere distrutte tutte, anche quelle intercettate sul telefono di un altro soggetto che parla con il presidente.
Se l'orientamento è questo dovrebbero fare una legge per stabilire che le conversazioni del presidente della repubblica non sono intercettabili né utilizzabili mai, anche se indirette.

Lei oggi è un politico. Come vedrebbe una legge che introducesse il divieto di intercettazione anche indiretta delle conversazioni del Capo dello Stato?
Voterei contro. Secondo me sarebbe eccessivo. L'immunità del presidente riguarda solo la sua non punibilità. La sua immunità da intercettazioni indirette mi sembrerebbe troppo.

Anche allora però il ministro Flick diede ragione all'ex presidente Cossiga e ad altri che fecero interrogazioni contro la sua Procura di Milano sostenendo si trattasse di un illecito.
Quell'interpretazione si basava sul fatto che il presidente della repubblica non è punibile. Ma non c'entra nulla. Il problema è che qualsiasi intercettazione telefonica, anche quella con il Capo dello Stato, può essere usata anche dalla difesa per difendere l'imputato e quindi si possono distruggere solo davanti al gip, nel contraddittorio tra difesa e accusa.

Cosa avrebbe fatto al posto del Procuratore capo Francesco Messineo? Avrebbe distrutto tutto come chiede il Colle?
Anche io non farei nulla del genere senza un cambiamento delle norme.

Secondo Eugenio Scalfari bisognerebbe addirittura interrompere la registrazione appena compare la voce del Capo dello Stato
La regola è un'altra e non si vede perché non debba essere applicata a un'intercettazione indiretta del Capo dello Stato. La legge è uguale per tutti.

Perché allora il Presidente si ostina in questa interpretazione?
Evidentemente ha tenuto conto dell'affermazione del ministro Giovanni Maria Flick, ma quella è un'interpretazione di un politico, autorevole quanto si vuole, che non è vincolante sotto il profilo giuridico per il magistrato.

 

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