DAGOREPORT - MA QUALE TIMORE DI INCROCIARE DANIELA SANTANCHÈ: GIORGIA MELONI NON SI È PRESENTATA…
Liana Milella per “la Repubblica”
Bavaglio sulle intercettazioni pubblicate sui giornali finché non arrivano al processo. E multe super salate per chi si arrischia a pubblicarle. Non solo. I giornalisti potranno raccontare su carta e tv solo quanto è contenuto nelle ordinanze di custodia. Tutto il resto, perfino la richiesta del pm di solito più generosa di dettagli, nonché le informative delle polizia e i brogliacci delle intercettazioni, pur depositati per gli avvocati, non potranno finire sui giornali.
Carte pubbliche dunque, sulle quali si pronunceranno i giudici del riesame, ma inspiegabilmente segrete per la stampa. In epoca di corruzione dilagante, l’opinione pubblica conoscerà con mesi e mesi di ritardo il contenuto delle inchieste. Se l’ordine sarà aggirato rischiano la multa i giornalisti, o ancora meglio gli editori.
Non è il carcere per i giornalisti, che pure ha proposto il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, ma un bavaglio ipotizzato, davanti alla commissione Giustizia della Camera, dai due più importanti procuratori della Repubblica in Italia, quello di Milano Edmondo Bruti Liberati e quello di Roma Giuseppe Pignatone.
I due hanno concordato la proposta che rivoluziona l’equilibrio esistito finora tra magistrati e giornalisti da una parte e politica dall’altra. Le toghe interessate a non perdere un importante strumento per accertare i reati, la stampa intenta a evitare il bavaglio sulla possibilità di raccontare cosa c’è nelle inchieste. Da ieri i pm vanno per conto loro e stendono un tappeto rosso sotto i piedi di Renzi che vuole cambiare le regole della pubblicabilità «entro il 2015».
Si battono perché non venga toccato il loro potere di intercettare, ma buttano a mare la stampa minacciando, proprio come accade nelle futura legge della diffamazione, il rischio di multe da migliaia di euro. In un’epoca di grande crisi economica per i giornali, c’è da credere che una legge sulle super multe seminerà il panico tra gli editori, i quali addirittura, secondo Bruti e Pignatone, potrebbero rispondere in prima persona delle intercettazioni pubblicate.
Il parterre in cui parlano i due alti magistrati è la commissione Giustizia di Montecitorio, davanti alla presidente Pd Donatella Ferranti, che sta facendo camminare il ddl del Guardasigilli Andrea Orlando sul processo penale, nel quale c’è anche la delega al governo sulle intercettazioni.
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Sì, una delega, perché l’Esecutivo vuole andare per le spicce, ottenere la delega, e approvarla evitando il dibattito parlamentare su un tema così caldo. Bruti e Pignatone, ma anche il collega di Palermo Franco Lo Voi, escogitano la brillante idea di rendere pubblicabile solo il materiale delle ordinanze, vietando invece tutto il resto. Il danno, dal punto di vista dell’informazione, è enorme.
Basti pensare alle ultime inchieste, da quella di Napoli su Ischia, a quella di Firenze sugli appalti, a Mafia Capitale, per arrivare ai casi Expo e Mose. Sempre, oltre l’ordinanza, i giornalisti hanno lecitamente letto e quindi pubblicato il materiale contenuto nella richiesta del pm, le intercettazioni, le carte delle polizie che stanno alla base dell’inchiesta.
Un controllo democratico importante, che spesso ha suscitato anche polemiche per una verifica tra quanto chiesto dal gip e l’effettivo materiale a disposizione di inquirenti e magistrati. Adesso ecco la stretta che, se accettata dalla politica, potrebbe rinviare al processo la completa discovery. L’importante, per le toghe, è che nessuno tocchi il potere di intercettare. Se poi la stampa e la gente non sanno perché chi se ne importa.
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