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Alberto Custodero per “La Repubblica”
«In passato, si partiva dall’intenzione di tutelare la privacy per arrivare a limitare lo strumento investigativo delle intercettazioni. Prendiamo atto con soddisfazione che il governo Renzi intende intervenire solo sulla loro pubblicazione ». Maurizio Carbone, segretario Anm, ribadisce che «è primo dovere professionale del pm e del gip di inserire solo le intercettazioni rilevanti».
È contrario o favorevole a limitare il diritto di cronaca a proposito della pubblicazione delle intercettazioni?
«Sosteniamo da anni che ci deve essere una udienza stralcio, fatta in contradditorio tra accusa e difesa, per stabilire quali intercettazioni utilizzare per il processo».
Una volta stabilito quali utilizzare, quelle intercettazioni sono poi pubblicabili dai giornalisti?
«Assolutamente sì. Ritengo che il giornalista abbia il dovere di informare l’opinione pubblica sulla base di quali elementi di prova si fonda l’accusa nei confronti di un indagato, tanto più se l’indagato è un personaggio pubblico. O se il fatto di cronaca è di forte impatto».
Quali sono le notizie che vanno “censurate”?
«Evidentemente quelle che attengono alla privacy, e che coinvolgono persone terze, estranee alle responsabilità penali dell’indagine».
Se il governo interviene per porre un limite alla pubblicazione delle intercettazioni, vuol dire che in passato è sfuggito al sistema giudiziario la gestione delle notizie sensibili. A questo proposito dovete fare autocritica?
«In effetti, non sempre siamo stati attenti a non inserire notizie della sfera privata dell’indagato, o di persone intercettate casualmente. Non sempre i magistrati hanno rispettato questo dovere, a volte è sfuggito il controllo. Però il dovere di definire e rispettare un limite sta in capo anche ai giornalisti».
Ma come fanno i giornalisti a valutare quali intercettazioni siano rilevanti per la pubblicazione?
«Un primo elemento distintivo lo dà il giudice, se le notizie non sono contenute nel provvedimento di custodia, significa che non dovrebbero essere pubblicabili».
S’è parlato in questi giorni anche della possibilità di obbligare i magistrati ad utilizzare le intercettazioni attraverso un loro riassunto. È d’accordo?
«Sarebbe un arretramento dal punto di vista delle garanzie difensive».
2. BISOGNA TROVARE L’EQUILIBRIO TRA PRIVACY E DIRITTO DI CRONACA
A. Custodero per “La Repubblica”
«È positivo che non venga toccata la normativa attuale sul presupposto di fare le intercettazioni, che rimangono strumento indispensabile per le indagini». Felice Casson, senatore Pd ed ex giudice istruttore, ritiene che «bisogna stare attenti alle norme che si vogliono fare sulla pubblicazione».
Qual è la sua preoccupazione?
«Non è facile trovare il punto di equilibrio tra la privacy delle persone, il diritto di cronaca dei giornalisti, e quello dei cittadini di sapere. Perché una democrazia si basa anche sull’informazione».
In passato le critiche alla pubblicazione sono arrivate sovente dai politici, quando sono state pubblicate intercettazioni che riguardavano indagini sul loro conto. Ritiene che voi dobbiate godere di qualche particolare riguardo, al proposito?
«Al contrario. Penso che chi decide di far politica rinunci quasi per definizione a una fetta della propria privacy. Nel senso che deve essere più trasparente rispetto al cittadino normale su tutti gli aspetti».
Anche quelli che riguardano la privacy?
«Assolutamente sì. La corte di Strasburgo ha condannato la Francia, la Grecia e la Finlandia per aver condannato dei giornalisti che avevano svelato particolari riservati dei vertici politici nei loro Paesi. Ebbene, io ho firmato un emendamento che prevede la scriminante per quei giornalisti che pubblicano notizie sui vertici istituzionali».
Una sorta di impunibilità?
«Si tratta di una scriminante che consente di violare la norma sulla riservatezza del codice penale quando si tratta di notizie di alto rilievo istituzionale ».
Ma questo emendamento a che punto è?
«Attualmente è tutto fermo. ma se il governo proporrà norme in questo senso, chiederò che sia tutelata la privacy, ma con i limiti previsti dalla corte di Strasburgo che attribuisce al giornalismo il ruolo di “cane da guardia” della democrazia».
Chi deve stabilire il limite, è d’accordo con Renzi che siano coinvolti i direttori delle testate?
«Che possano essere sentiti i direttori è positivo. Ma si tratta di una decisione tecnica che deve contemperare delle norme. Bisogna decidere all’interno del processo penale quando viene meno l’obbligo di segretezza e quindi il diritto alla pubblicazione».
Qual è il diritto che deve prevalere in questa decisione?
«Nel codice attuale c’è confusione. Il punto di equilibrio è difficile da trovare perché sono in conflitto quattro diritti, tutti costituzionalmente garantiti. Il diritto degli investigatori a fare indagini, quello alla riservatezza della persona, quello della difesa. E la libertà di stampa».
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