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“IO UN SEX SYMBOL? ERA UNA SCOCCIATURA" – FABIO TESTI A 83 ANNI DEBUTTA ALLA BERLINALE: “UNA SODDISFAZIONE DOPO TANTE DELUSIONI. SERGIO LEONE MI TAGLIÒ DAL SUO FILM” – "IL BELMONDO ITALIANO" CIANCIA DI GAZA E RIVELA CHE OGGI RECITA POESIE D’AMORE. MA E’ LO STESSO CHE AL "GRANDE FRATELLO" MASSAGGIAVA CON GUSTO LE CHIAPPE DI ASIA VALENTE, SI VANTAVA DELLE SUE SCOPATE (FACENDO INCAZZARE KATIA RICCIARELLI) E DICEVA: "LE MADRI BUTTANO LE ATTRICI NEL LETTO DEI REGISTI E DOPO 10 ANNI LI DENUNCIANO"?
https://m.dagospia.com/media-tv/gf-vip-tweet-fabio-testi-scivola-frase-sessista-roba-stupri-223685
Valerio Cappelli per il "Corriere della Sera" - Estratti
Debuttare a 83 anni.
«Alla mia veneranda età, andare per la prima volta alla Berlinale, a un festival così impegnato, è una bella soddisfazione», dice Fabio Testi, già sex symbol, simpatico, guascone, diretto quando parla, è stato il Belmondo italiano. In sala stampa uno grida: «Sei una leggenda». E lui pronto: «Champagne per l’amico». È il protagonista di Reflet dans un diamant mort , dei registi coniugi Hélène Cattet e Bruno Forzani.
Che ruolo fa?
«Sono un ex agente segreto che vive in un lussuoso hotel sulla Costa Azzurra; la vicina di stanza, Maria de Medeires, che mi ricorda i felici Anni 60, scompare nel nulla».
Un thriller?
«Sì, Forzani venne a trovarmi, disse che gli ricordavo Sean Connery e di essersi ispirato al mio film Road to Nowhere di Monte Hellman che nel 2010 andò a Venezia. Mi sembrava strano e complicato, iper realista e surreale, ricordi e follia si mescolano. Letto il copione, tutto tornava. Un bravo attore, Yannick Renier, fa me da giovane. Il film è accurato, ho passato una giornata intera a doppiarmi nei respiri, bocca aperta, bocca chiusa. Posso dire una cosa?».
Prego?
«Il film doveva andare a Venezia ma non è stato preso: si inventarono la scusa che non sapevano in quale sezione metterlo. Ne ho parlato con Luca Zaia, il presidente del Veneto è mio amico, mi ha detto che spesso è la politica che decide, tutto passa da Roma».
Ma lei Sean Connery l’ha conosciuto?
«Come no, al tempo in cui stavo con Ursula Andress ci veniva a trovare a Roma. Persona meravigliosa. Dovevo fare suo figlio in un film che poi non si fece. Lo portai io alla prima edizione della Festa del cinema, di cui era promotore Veltroni, allora sindaco».
Lei ha girato 64 film e ha vinto solo un Globo d’oro.
«Nel 1971, come rivelazione de Il giardino dei Finzi Contini di Vittorio De Sica, un gigante che amava gli attori, recitava tutte le parti, dovevi solo imitarlo. I premi sono pilotati dalle distribuzioni, si sa come vanno queste cose».
Il gigante De Sica e un Leone: Sergio.
«In C’era una volta il West dovevo interpretare il capo di una banda, truccato da cow-boy restavo belloccio e non c’entravo niente, così il ruolo fu cancellato e mi ritagliarono una piccola parte. Mica mi mettevo a fare causa a Leone».
(…)
Cosa fa ora?
«Recito poesie d’amore con musica dal vivo, è un hobby e un lavoro. Vado nei teatri, nelle chiese, dove mi chiamano. Neruda, Garcia Lorca, Prévert. I giovani mi fanno domande, hanno bisogno d’amore».
Ci parli della sua foto sul suo profilo WhatsApp.
«Appaio con un cartello per fermare il massacro di bambini a Gaza. A una giornalista cancellai l’intervista dopo che mi disse che non potevo mostrare il cartello. Sono nonno di quattro nipoti, i bambini uccisi a Gaza non mi fanno dormire la notte. E parla uno che è pieno di amici ebrei. Volevo creare il festival della pace, nessun attore mi ha seguito. Io non do giudizi, dico solo stop ai bambini vittime dell’odio dei grandi».
L’ultima volta al cinema?
«Manco me lo ricordo, i film li affitto (...)
Essere tutta la vita un sex symbol alla lunga...
«Era una scocciatura quando mi chiamavano Fabio Andress, perché giustamente venivo dopo Ursula. Da ragazzo ho avuto la fortuna di vivere l’esperienza delle turiste del Nord Europa che venivano in vacanza in Veneto, l’anticoncezionale lo portavano loro.
Altro mondo. Mi inventavo la fidanzata fantasma, che poteva apparire da un momento all’altro. Ne uscivo fuori così».
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