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E. Mu. per il "Corriere della Sera"
«Mai vista una situazione così in quarantaquattro anni di lavoro: faccio ricerca dal 1968 e oggi mi tocca registrare il disastro». Remo Lucchi, 68 anni, è l'amministratore delegato di Eurisko: con il dossier in mano, continua a estrapolare cifre ripetendo che all'Italia «manca una prospettiva».
Uno dei dati più indicativi, a fronte di un'inflazione reale del 3,3% (a marzo), è quel 77% di italiani che vive con la sensazione di un aumento costante dei prezzi.
«La gente è sopraffatta dalla preoccupazione, l'inflazione percepita è questo: tutta la minaccia del costo della vita è ingigantita perché non la possono affrontare. Ci sono prezzi oggettivamente in impennata - energie, benzina, trasporti - ma altri sono stabili. Se a questa sensazione nefasta aggiungiamo l'ansia per la richiesta di sacrifici a causa di nuove tasse e la continua minaccia alla sicurezza del lavoro, ecco che si vive come fossimo al massimo della depressione».
Di conseguenza, gli italiani evitano di spendere.
«Non vogliono spendere: i soldi li conservano perché temono la catastrofe e non hanno prospettive. Non comprano le cose normali: una bibita, i biscotti per la colazione, un panino in pausa pranzo. Se prima si faceva attenzione ai prezzi, cercando le promozioni e i marchi convenienti, ora la strategia di sopravvivenza è tagliare i consumi: oltre a rinviare gli acquisti costosi ma necessari, si riducono anche quelli da pochi euro. Dieci mesi fa questa contrazione colpiva il 32% delle persone, oggi il 42%».
E le aziende?
«Le più grandi aziende di largo consumo - quelle che conosciamo tutti e vendono dai prodotti alimentari a quelli della cura della persona e della casa - stanno contraendo le vendite come mai avevo registrato da parecchi lustri. Con la flessione della pubblicità è arrivata la prova: dal 3% di tagli alla spesa nel settore nel 2011 adesso sono arrivate al 20%. Una catastrofe: non riescono neanche più a investire sulla voce che può stimolare i consumi».
C'è qualcosa che avete omesso, nel dossier?
«Sì, gli approfondimenti qualitativi svolti nei segmenti elitari: intravedono in Mario Monti la migliore opportunità per il futuro del Paese. Leggendo le loro opinioni, e comparandole con i risultati di gradimento dell'operato di questo esecutivo anche tra le altre classi, posso ipotizzare che se ci fosse una crisi di governo, se si sciogliessero le Camere e Monti si presentasse alle elezioni con una proposta di governo nella quale la conflittualità politica non esistesse più - un esecutivo di coesione come c'è in Germania con la GroÃe Koalition - otterrebbe una maggioranza assoluta».
Questo perché la fiducia nella classe politica è al minimo?
«Come dato in sé, la fiducia a Monti era più alta qualche mese fa. Ma se io chiedo: c'è qualcuno meglio di lui? Il 45% mi risponde di no. E tra chi mi risponde di sì, compaiono i nomi di Bersani e Berlusconi ma si fermano al 3%: di fatto, l'alternativa non esiste. Gli italiani stanno dicendo a Mario Monti: smetti di fare il tecnico e fai lo statista, cambia il modo di governare e assicuraci stabilità non solo fino al 2013».
Mario MontiMario Monti Monty Burns berlusconi-bersaniREMO LUCCHI
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