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Estratto dell’articolo di Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”
Il 9 giugno Giorgia Meloni se la vedrà con gli elettori alle Europee. Il 13 con i capi di Stato e di governo del G7. E per quel giorno Joe Biden si aspetta che la presidenza italiana avrà costruito l’intesa sull’uso dei fondi russi congelati in Occidente per aiutare l’Ucraina. È una missione quasi impossibile, perciò l’Amministrazione americana segue con particolare attenzione il difficile lavoro diplomatico di Palazzo Chigi.
Lo fa da marzo, da quando la questione venne affrontata nell’incontro alla Casa Bianca tra il presidente statunitense e la premier. In quella occasione Biden disse a Meloni di «nutrire forti aspettative» sul vertice in Puglia, che dovrebbe «favorire una crescente convergenza» sul dossier contrastato dai maggiori Paesi dell’Unione per problemi giuridici, politici e soprattutto economici.
È noto che Francia e Germania si siano messe di traverso, ma Meloni — rispondendo a Biden — promise di impegnarsi per «spingere quanto più possibile l’Europa a sostenere Kiev nelle sue varie esigenze finanziarie, militari e di ricostruzione». In questo senso, un sostegno all’iniziativa potrebbe arrivare dalla presidente della Commissione Ue. […]
giorgia meloni e joe biden nello studio ovale
Il governo di Bruxelles propone di prelevare gli utili netti dei beni immobilizzati della Banca centrale russa, che dovrebbero fruttare circa 3 miliardi di interessi solo nel 2024. Ovviamente non basterebbero. Biden sa, e lo ribadì alla premier italiana, che «Kiev ha disperatamente bisogno» del pacchetto di sostegno americano, bloccato alla Camera dall’atteggiamento «ostile» dello speaker Mike Johnson, «su pressione di Donald Trump per motivi elettorali».
[…] È chiaro che il superamento dello stallo agevolerebbe anche la mediazione con l’Europa sui fondi russi. Ed è proprio all’Europa che il rappresentante dell’Amministrazione si rivolge: per «ostacolare la macchina bellica russa», serve una «pressione diplomatica sulla Cina in modo da scoraggiare» le forniture a Mosca, «evidenziando in caso contrario le potenziali ripercussioni negative sui rapporti» con l’Unione.
È una sorta di «whatever it takes» per sostenere l’Ucraina, che a giudizio di Sullivan nel 2024 avrà la «resistenza» come «obiettivo strategico», in attesa di verificare se nel 2025 potrà pensare a una «controffensiva». D’altronde non si scorgono all’orizzonte segnali distensivi con Mosca, se è vero che Vladimir Putin ha già bollato come un «fenomeno da baraccone destinato a fallire» la Conferenza di pace in Svizzera.
E come non bastasse, il dittatore russo — secondo informazioni dei servizi — starebbe sviluppando le capacità nucleari in ambito spaziale che potrebbero comportare una «grave minaccia ai sistemi satellitari occidentali». Ecco perché Kiev è così importante per il mondo libero, e perché Biden si attende un risultato positivo dal G7. Anche in prospettiva del vertice Nato che si terrà a Washington per celebrare i 75 anni del Patto Atlantico. […] L’appuntamento è fissato a luglio, ma è giugno il mese fatidico di Meloni. E non solo per le Europee.
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