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Daniele Autieri per “la Repubblica”
Il rapimento e l’espulsione di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua sono stati un atto riparatorio, maldestro tentativo di evitare una crisi diplomatica con il Kazakhstan, innescata dopo la fuga del dissidente Muktar Ablyazov.
mukthar ablyazov figlia alua e alma shalabayeva
Ma soprattutto quelle 67 ore che hanno portato all’imputazione per sequestro di persona e falso ideologico di 11 persone, tra cui l’attuale capo dello Sco (Servizio centrale operativo della Polizia) Renato Cortese e il questore di Rimini, Maurizio Improta (interrogato ieri per ore dal procuratore aggiunto Antonella Duchini e dal sostituto Massimo Casucci), sono arrivate al termine di un’attività di intelligence che ha seguito e in parte garantito protezione al dissidente kazako fino all’ultimo avvistamento prima della fuga.
Il nodo della vicenda ruota intorno alla Sira Investigazioni, agenzia di security ingaggiata dall’israeliana Gadot Information Services per individuare «la presenza del signor Muktar Ablyazov». La piccola Srl (18mila euro i ricavi del 2013) viene costituita il 6 marzo, appena otto settimane prima dell’incarico della Gadot, e messa in liquidazione poco dopo la fine dell’anno. Cosa faceva allora la Sira fuori dalla villa di Casal Palocco? E per chi lavorava?
Interrogato dalla Digos, il titolare Mario Trotta ammette che «Ablyazov è stato individuato già il 16 e 17 maggio», quindi dieci giorni prima della sua fuga. A Repubblica Trotta spiega: «Avevamo solo il compito di seguirlo e controllarlo». Un controllo h24 eseguito con l’aiuto di Marco Monfera e Gaetano Del Ferro, quest’ultimo ritrovato dalla Digos al momento del blitz con un tesserino della Presidenza del Consiglio dei ministri (e in possesso almeno fino al 2006 del documento del ministero della Difesa Dg1635).
Dalle visure camerali risulta che nel 2013 la Sira non ha avuto dipendenti e ha sostenuto costi salariali per 767 euro. Per chi lavoravano allora Monfera e Del Ferro, segnalato da una fonte investigativa come ex-agente Sismi? La ricerca di una risposta è ora affidata ai pm di Perugia, mentre è ormai un fatto che in tanti sapevano dove si trovasse Ablyazov.
Ma, nonostante questo, il 26 maggio, dopo aver pranzato con moglie e figlia in un ristorante di via Colombo, l’uomo scompare. Il giorno successivo alla fuga i telefoni kazaki sono roventi: dai tabulati emerge un flusso abnorme di chiamate, partite da Astana e destinate non solo all’ambasciatore kazako in Italia ma anche al Viminale. Non esistono trascrizioni di quei dialoghi ma — alla luce delle testimonianze di alcuni protagonisti — il senso è evidente: la frittata è fatta, adesso riparate.
Da quel momento la macchina si mette in moto. Parte il blitz e i documenti vengono ritoccati per evitare intoppi sulla via dell’espulsione che deve essere rapida e indolore. Una conclusione tanto certa che — confermano oggi fonti investigative — il volo da Ciampino che riporta Alma Shalabayeva ad Astana viene pagato dall’ambasciata kazaka con un bonifico fatto la mattina presto, molte ore prima la conclusione dell’iter giudiziario.
Le carte e le ultime risultanze dell’inchiesta richiamano quindi in causa il Viminale per capire se il blitz e l’espulsione furono veramente un atto riparatorio di fronte alla fuga di Muktar Ablyazov.
Ieri il questore di Rimini, Maurizio Improta (capo dell’immigrazione all’epoca dei fatti), è stato sentito dai pm di Perugia e si è difeso dall’accusa di sequestro di persona e falso presentandosi in tribunale con un trolley pieno di documenti e ribadendo il rispetto delle leggi.
L’interrogatorio è stato secretato, ma nel corso di 5 ore e mezzo è tornato il tema dei mandanti, sul quale sarà chiamato a rispondere venerdì anche il ministro Alfano. Non in tribunale, ma in Parlamento dove il M 5s ha presentato ieri un’interpellanza urgente con una domanda semplice: quali sono state le linee di comando che hanno impartito gli ordini in questa vicenda?
RENATO CORTESE
ALMA SHALABAYEVA TORNA A ROMA
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