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Giuseppe Sarcina per il “Corriere della Sera”
Gli intellettuali liberal d'America sono come pietrificati. Difficile ingabbiare in un'analisi, in un ragionamento la vittoria «sovversiva» di Donald Trump. Gli editorialisti più seguiti del New York Times ieri hanno messo da parte i toni corrosivi degli ultimi mesi, offrendo ai lettori articoli carichi di dolorosa rassegnazione.
Paul Krugman, 63 anni, premio Nobel dell' Economia nel 2008, ha confessato di essere totalmente disorientato: «Dovrei rispondere alla legittima domanda, che cosa succede ora sui mercati finanziari? Ma in questo momento le ricadute sull' economia sono in fondo alla lista delle mie preoccupazioni».
Krugman non concede neanche la sospensione del giudizio. È convinto che siano in arrivo disastri: Trump è «un uomo ignorante, irresponsabile e per di più consigliato dalle persone peggiori che siano in circolazione nel Paese». Anche Thomas Friedman, grande esperto di politica estera, interlocutore privilegiato di Barack Obama, alza le mani: «Nei miei 63 anni di vita non ho mai avuto così paura come adesso che qualcuno, come Trump, possa spaccare il Paese. Noi possiamo diventare così irreparabilmente divisi che il nostro governo nazionale non potrà più funzionare».
Nella notte dell' 8 novembre Trump non ha battuto solo Hillary Clinton, ma praticamente lo «star-system» culturale degli Stati Uniti. Un mondo parallelo, formato da super esperti di sondaggi sconfessati in modo brutale dalle urne, da grandi giornali che evidentemente non sono più in grado di orientare la maggioranza dell' opinione pubblica. La cosa che colpisce nelle reazioni di questi intellettuali è la robusta dose di autostima. Del resto ieri Hillary Clinton, rivolgendosi ai suoi sostenitori, ha detto: «Voi siete la parte migliore del Paese».
Una frase che fa imbestialire i repubblicani, qualunque sia il loro titolo di studio. Fa eccezione lo scrittore J.D. Vance, che sempre sul New York Times dice di essersi reso conto di «vivere in una bolla»: un ambiente colto, metropolitano, distinto e distante dall'America che ha vinto le elezioni.
MILEY CYRUS IN LACRIME PER LA VITTORIA DI TRUMP
Vance, in realtà, viene dal Kentucky, pieno Midwest trumpiano. Il suo ultimo romanzo si intitola: Hillbilly Elegy , più o meno elogio del montanaro. Lo choc dell' 8 novembre aprirà una lunga discussione tra le due Americhe. Per ora, nel campo democratico, è anche il momento dei pianti. La cantante Miley Cyrus, accesa sostenitrice di Hillary, ha postato un video-appello in cui chiede, in lacrime, che il Paese torni a essere unito.
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