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L’ALBERO DI SALA – IL SINDACO DI MILANO INDAGATO DALLA PROCURA GENERALE (CHE SI E' SOSTITUITA AI PM) PER “TURBATIVA D’ASTA” NEGLI APPALTI DEI VIVAI DELL’EXPO – LOTTA FRATRICIDA DEI MAGISTRATI MILANESI: ANCORA VOLANO SCHIZZI DI FANGO DELLO SCONTRO ROBLEDO-BRUTI LIBERATI 

 

Luigi Ferrarella per il Corriere della Sera 

 

Non più solo la già nota accusa di falso, ma anche una nuova ipotesi di reato per il sindaco pd di Milano, Giuseppe Sala: turbativa d' asta in un appalto di Expo 2015 da 4 milioni, quello per il «verde».

 

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Eletto a Palazzo Marino un anno fa sull' onda dell' esposizione universale di cui era stato commissario e amministratore delegato, Sala non è infatti indagato solo per l' accusa di «falso materiale e ideologico» mossagli 6 mesi fa dalla Procura Generale di Milano che aveva tolto il fascicolo alla ritenuta inerte Procura della Repubblica, e legata alla retrodatazione di 13 giorni del documento che il 30 maggio 2012 consentì di cambiare in corsa due degli incompatibili commissari della più importante gara di Expo (la cosiddetta «Piastra» da 272 milioni di base) senza dover rifare l' intera procedura che altrimenti avrebbe rischiato di far saltare il cronoprogramma.

 

Il sindaco è invece ora indagato dalla Procura Generale anche per l' ipotesi di «turbativa d' asta» nella fornitura di alberi, ma sotto un profilo diverso da quello che già i pm - pur non ritenendo mai di dover indagare Sala - avevano larvatamente accennato nel 2016 nel definire «improprio» l'«affidamento diretto» alla società Mantovani della «fornitura di 6.000 alberi per 4,3 milioni a fronte di un costo per l' impresa di 1,6 milioni».

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L' indagine-bis nata dall' avocazione - e sviluppata in questi mesi dalla medesima GdF milanese che nel 2014-2016 aveva lavorato con i pm della Procura della Repubblica, ma ora sotto il coordinamento della Procura Generale di Roberto Alfonso e in particolare del pg Felice Isnardi - muove dall' iniziale capitolato per la «Piastra» da 272 milioni vinto dalla Mantovani, nel quale era compresa anche la fornitura del «verde».

 

Interessamenti politici regionali, volti a non far restare fuori il mondo dei vivaisti lombardi, avrebbero determinato lo scorporo dell' appalto del «verde», assunto da una certa impresa sotto forma di sponsorizzazione. Ora l' accusa postula che in quel momento la gara avrebbe dovuto essere riformulata: invece, dal quadro complessivo non fu scorporato il valore (4/5 milioni) corrispondente al costo del «verde», rispalmato anzi su altre voci per lasciare intatto il bando complessivo; e dunque la regolarità della gara sarebbe stata turbata perché in linea teorica, una volta che il segmento del «verde» era stato depennato, altre imprese (che magari non avevano presentato offerte perché non in grado di fornire anche il «verde») avrebbero invece potuto partecipare alla corsa per la «Piastra» o formulare offerte differenti.

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In seguito, peraltro, il vivaista non fu in grado di far finanziariamente fronte alla fornitura, e dunque Expo, ritrovandosi ancora una volta in affanno, per motivi di asserita urgenza ricorse all' affidamento diretto all' impresa Mantovani che aveva vinto la gara complessiva. Urgenza relativa, se dopo cinque mesi la Mantovani comprò le essenze arboree potendo giostrare l' ampiezza della forbice tra gli stanziati 4,3 milioni e il costo affrontato dalla ditta di 1,6.

 

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Se ne potrà capire di più quando, entro giugno, la Procura Generale depositerà gli atti raccolti in questi mesi su Sala e (per differenti vicende e ipotesi di reato a lui estranee) su altri 6 imprenditori o manager Expo: indagini dei pg peraltro lungo quei binari che già i pm avevano in qualche modo battuto, seppure restando a mezza strada (o non iscrivendo nel registro degli indagati talune persone come Sala, o chiedendone per altre l' archiviazione respinta dal gip Andrea Ghinetti) anche a causa delle ripercussioni sulle indagini Expo dello scontro nel 2014 tra il procuratore Edmondo Bruti Liberati e l' allora estromesso suo vice Alfredo Robledo, poi rimosso dal Csm e trasferito come procuratore aggiunto a Torino per tutt' altre vicende nei rapporti con l' avvocato Domenico Aiello.

 

a sinistra il procuratore aggiunto di milano alfredo robledo, a destra il procuratore capo edmondo bruti liberatia sinistra il procuratore aggiunto di milano alfredo robledo, a destra il procuratore capo edmondo bruti liberati

Ceneri non ancora del tutto spente, a giudicare ad esempio ieri dalla lettera di saluto ai 90 pm milanesi di Roberto Pellicano, neoprocuratore di Cremona e uno dei tre pm dell' archiviazione respinta: «Lascio un ufficio che mi piace meno di quello che avevo incontrato al mio arrivo nel 2001», scrive, «la vicenda Bruti-Robledo mi ha profondamente segnato e strappato» da «una ingenua e consolatoria idea di "diversità" della magistratura che è stata spazzata via in pochi mesi».

 

«Non sarò mai riconoscente a sufficienza per la consapevolezza di autonomia quasi ostinata, anche verso me stesso, infusami dalla Procura di Milano, ispirazione che non è scomparsa ma occorre mantenere viva» per respingere «l' idea nichilistica, spesso conveniente, che una decisione valga l' altra, e non invece che ve ne sia una sola da ricercare, quale giuridicamente corretta».