L’AMBASCIATORE VESTE PRADA - PIÙ SGANCI, PIÙ POTERE HAI: OBAMA RICOMPENSA FINANZIATORI E SOSTENITORI CON RUOLI-CHIAVE NEL SUO NUOVO GOVERNO - ANNA WINTOUR, DIRETTORE DI “VOGUE”, POTREBBE DIVENTARE AMBASCIATORE A LONDRA - IL TESORO INVECE POTREBBE ANDARE A UN ALTRO GRANDE FINANZIATORE DI OBAMA, IL CAPO DI GOOGLE ERIC SCHMIDT - INTANTO LA CLINTON RIFIUTA NEW YORK E PENSA ALLA CASA BIANCA…

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Maggi per "Libero"

Vinte le elezioni, per il presidente è tempo di nomine, e dell'inevitabile gossip che sempre accompagna la distribuzione dei posti più ambiti. E che cosa c'è di più sognato, per un americano, dell'incarico d'ambasciatore a Parigi o a Londra? Chi pensa alto può ricordare che fu nientemeno che Thomas Jefferson, il futuro presidente, ad essere il primo diplomatico, nel 1785, a rappresentare i neonati Stati Uniti in Francia.

Ma anche oggi che c'è Hollande la piazza è di peso, e Obama pensa di assegnarla ad una regina della moda, Anna Wintour, direttrice di Vogue. Wintour, oggi cittadina americana, è nata in Gran Bretagna e i tabloid londinesi la indicano anche come favorita per la sede inglese. Come si dice, se a 63 anni decide di accettare l'offerta e di cambiare carriera, cascherà in piedi.

Chi ha visto «Il Diavolo veste Prada», dove Meryl Streep interpreta alla perfezione la parte di tiranna in redazione, può dubitare che la Wintour abbia le qualità di tatto per trattare con uomini di governo, ma la signora ha altri meriti, quantificabili più delle capacità impalpabili di persuasione: 100 mila dollari in contributi e due cene pro Obama nel 2012 in cui ha messo insieme 2,7 milioni tra i suoi amici. Tanto da inserirla nei primi 10 top-sostenitori della campagna.

Per un posto decisamente più importante per potere vero c'è un altro grosso nome dei media, anzi di uno che i media li ha rivoluzionati: Eric Schmidt, chairman di Google. Obama sa che se non sistema l'economia Usa entro il 2016 avrà la fama del presidente che ha fatto fallire l'America (ha portato il debito federale da 10 mila miliardi a oltre 16, e viaggia verso i 20) e pensa di rivolgersi al mondo degli affari per cambiare rotta. Schmidt è ideologicamente un suo fedelissimo dal 2008, tanto che fu tra i Ceo che si prestò ad entrare in un gruppo di businessmen «consiglieri» e che, personalmente, appoggiò con prese di posizioni pubbliche persino il superstimolo (inutile, s'è poi visto) da 900 miliardi.

Ma anche per il capo di una delle aziende simbolo del futuro digitale, l'argomento che l'ha inserito nel circolo dei «veri amici» sono alla fine i soldi: per la sua rielezione i dipendenti di Google, sotto la guida autorevole del capo, hanno raccolto 1,9 milioni di dollari. Questa «familiarità» tra Casa Bianca e Google, qualcuno ha fatto notare, sarebbe già corroborata dagli sforzi dell'amministrazione nel frenare una indagine della Commissione Federale di Controllo sulle comunicazioni: se Obama vuole davvero nominarlo ministro del Tesoro, come si vocifera a Washington, o costruirgli su misura un nuovo Dipartimento del Business, non sta bene farlo con l'azienda di Schmidt sotto indagine d'un ente governativo.

«È quello messo meglio per un incarico di gabinetto», ha detto uno strategist democratico. Sempre che accetti, cosa che finora non ha fatto. Per la sua eventuale nomina importa nulla a Obama il fatto che a Google non esistano le union organizzate. La Silicon Valley degli ingegneri creativi, pur con la loro preponderante simpatia per la sinistra, è dispensata dal trattamento riservato dal sindacato Afl-Cio alle fabbriche del MidWest, dove Obama ha ottenuto la vittoria salvando con il denaro pubblico gli operai iscritti, pure loro finanziatori dei democratici.

Fuori del giro politico di Washington, la carica più visibile è quella di sindaco di New York, che sarà libera a fine 2013. Michael Bloomberg, l'attuale sindaco che era stato eletto da repubblicano, poi indipendente, poi repubblicano, e che una settimana prima del voto del 6 novembre ha appoggiato Obama, aveva avuto un'idea pazza qualche mese fa: Hillary Clinton. L'aveva chiamata caldeggiando una sua candidatura, ma aveva avuto il suo no. «Non corro più per incarichi pubblici», disse Hillary all'amico Mike. Tradotto: «Altro che sindaco, io penso alla Casa Bianca per il 2016».

 

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