IN OBAMA WE (ANTI) TRUST - DOPO GLI ANNI PERMISSIVI DI BUSH (E TRE ANNI DI SONNO DEL NEGRITO), IL DIPARTIMENTO DI GIUSTIZIA USA ACCENDE I FARI SULLE ACQUISIZIONI DI TMOBILE DA PARTE DI AT&T, E SOPRATTUTTO DI GOOGLE CHE PRENDE MOTOROLA (PAGE & BRIN HANNO GARANTITO RISARCIMENTI MILIARDARI SE L’AFFARE NON ANDASSE IN PORTO) - PER GLI “SCERIFFI” DI WASHINGTON TALI ACQUISIZIONI RISCHIANO DI ALZARE LE TARIFFE E ABBASSARE LA QUALITÀ…

Vai all'articolo precedente Vai all'articolo precedente
guarda la fotogallery

Arturo Zampaglione per "Affari & Finanza" di "la Repubblica"

La svolta c'è stata il 31 agosto, pochi giorni prima del "Labour day", la festa del lavoro. Con una mossa a sorpresa, la divisione antitrust del ministero della Giustizia di Washington ha presentato un ricorso per bloccare la più ambiziosa conquista societaria dell'anno, cioè l'acquisizione per 39 miliardi di dollari della TMobile Usa (il più piccolo dei quattro operatori mobili degli States) da parte della numero due, la At&t.

Il motivo? "La fusione hanno spiegato i legali del ministero rischia di fare alzare i prezzi, di ridurre le scelte per gli utenti e di abbassare la qualità dei prodotti". Pochi giorni dopo, a conferma del nuovo vento che soffia a Washington, il ministero della Giustizia ha richiesto tonnellate di documenti a Google e alla società che il suo chief executive Larry Page vuole comprare per 12,5 miliardi di dollari, la Motorola Mobility.

Obiettivo: analizzare i pericoli per la concorrenza e per i consumatori di un'espansione verticale del motore di ricerca di Mountain View nel campo dell'hardware.

"Non ho dubbi: si apre un nuovo capitolo dice Michael Cohen, responsabile del settore antitrust del grande studio legale Paul Hastings Le agenzie del governo federale stanno imboccando una strada molto più rigorosa". Negli ultimi tre anni, infatti, a dispetto delle promesse elettorali di Barack Obama, gli "sceriffi antitrust" del ministero della Giustizia erano rimasti per lo più con le mani in mano, limitandosi ad adeguare alcuni regolamenti troppo permissivi dell'era Bush.

La stessa Christine Varney, scelta dal presidente per guidare il team antitrust come sottosegretario alla Giustizia, ha dato le dimissioni a metà dell'estate senza provocare particolari rimpianti per accettare un impiego ben retribuito nello studio legale newyorkese Cravath, Swaine & Moore. Adesso il team di Washington è affidato protempore alla numero due Sharis Pozen, che gode della "piena fiducia" della Casa Bianca e che ha subito imposto la svolta.

L'altalena tra fasi permissive e ritorno al rigore ha comunque consentito agli Stati Uniti di varare, nel corso di più di un secolo, alcune decisioni-simbolo della battaglia antitrust. Fu colpito il monopolio della American Tobacco Company (1911), venne smembrata la Standard Oil di John Rockefeller (sempre nel 1911), fu fatta in sette pezzi (cioè sette Baby Bells) la vecchia At&t che controllava tutti i telefoni americani (1982).

D'altra parte la Microsoft di Bill Gates riuscì a evitare in appello, sempre negli anni di Bush, la condanna a una scissione in due chiesta dal team antitrust del ministero, allora guidato da Joe Klein (che ora lavora per Rupert Murdoch), oltre che da 19 stati americani.

Quella sconfitta del governo, assieme a un atteggiamento più passivo e conciliante nei confronti delle imprese, aveva portato i chief executive dei grandi gruppi e i loro legali a sottovalutare il ruolo degli organismi antitrust (oltre al ministero della Giustizia e ai singoli stati, se ne occupa anche la Ftc, Federal Trade Commission).

Proprio per questo, forse, quando il capo della "nuova" At&t , Randall Stephenson, ha negoziato l'acquisto della TMobile Usa con la Deutsche Telekom, era così sicuro di farcela da promettere 6 miliardi di dollari di risarcimento danni nel caso che l'affare non andasse in porto.

Lo stesso ha fatto Larry Page: se Google non sarà in grado di concludere l'affare con Motorola Mobility le verserà 2,5 miliardi di dollari, cioè il 20 per cento del valore dell'operazione.

La svolta di fine agosto ha ovviamente cambiato le carte in tavola. Di fronte al rischio di perdere non solo 6 miliardi di dollari ma anche la strategia per combattere contro Verizon Wireless, numero uno della telefonia mobile, Stephenson ha arruolato i migliori (e più costosi) avvocati americani. I quali, con una serie di memorandum, stanno cercando di dimostrare che la riduzione da quattro a tre dei grandi operatori in America (At&t, Verizon e Sprint) non ridurrà la concorrenza né influirà sulle tariffe.

Naturalmente le organizzazioni dei consumatori la pensano diversamente, così come gli utenti di TMobile. A prendere la prima decisione sarà comunque il giudice distrettuale Ellen Huvelle, che dal 13 febbraio dell'anno prossimo, e per circa sei settimane, guiderà il processo contro l'At&t.

E' probabile che, qualunque sia la sentenza, si vada anche all'appello: a meno che i negoziati tra il ministero e il colosso dei telefoni non porti a una soluzione extragiudiziale con i cosiddetti "remedies", cioè misure ad hoc per contrastare la minore concorrenza. Ma intanto tutti hanno capito che l'esito del duello tra At&t e team antitrust potrebbe consolidare la svolta o vanificarla.

 

Barack ObamagoogleSergey Brin e Page LarryMotorola