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Paolo Mastrolilli per “la Stampa”
L’Arabia Saudita ha bisogno di soldi, e intende andare sul mercato entro la fine dell’anno per piazzare bond da 27 miliardi di dollari. Lo rivela il Financial Times, dimostrando che la strategia scelta da Riad per il ribasso del prezzo del petrolio si sta ritorcendo contro se stessa.
A giugno dell’anno scorso un barile di greggio costava 115 dollari, mentre questa settimana è sceso sotto la soglia di 50. Il calo è dipeso soprattutto dall’ingresso sul mercato dello «shale oil» americano, cioè il petrolio di scisto diventato estraibile dalla roccia grazie a nuove tecnologie molto funzionali. Nel passato, quando l’oro nero perdeva valore l’Opec lo sosteneva, riducendo la produzione; stavolta, però, l’Arabia si è opposta.
La ragione ufficiale è che non voleva perdere quote di mercato, e quindi era disposta a guadagnare meno pur di conservare le proprie posizioni. Quella ufficiosa, però, è che voleva spingere al fallimento l’industria americana dello shale, che per l’estrazione richiede grossi investimenti, non più convenienti se il prezzo scende sotto i 70 dollari al barile.
Il motivo di questa manovra era economico, ma anche politico. Le relazioni fra Washington e Riad, infatti, sono diventate più complesse negli ultimi tempi, in particolare per la scelta della Casa Bianca di non intervenire in Siria contro Assad, e negoziare invece l’accordo nucleare con l’Iran, portabandiera dell’offensiva sciita in Medio Oriente. Quindi l’Arabia ha pensato di lanciare un doppio segnale: il primo contro le compagnie petrolifere americane, di natura industriale; il secondo, politico, indirizzato all’amministrazione. Sullo sfondo, secondo alcuni analisti, c’era anche l’intenzione di mettere in crisi il settore estrattivo russo.
A giudicare dallo scoop pubblicato dal Financial Times, però, questa linea si sta trasformando in un boomerang. E’ vero infatti che le compagnie americane hanno ridotto le loro operazioni, in particolare nelle regioni dove era avvenuto il boom dello shale, tipo il North Dakota. Molti impianti sono stati chiusi e gli operai licenziati, in attesa che il prezzo torni conveniente. L’Arabia però ha visto aprirsi un buco nei suoi bilanci, e ha dovuto usare 65 miliardi di dollari delle proprie riserve per tapparlo.
Siccome non vuole ridurre le spese, i progetti per le infrastrutture interne e le operazioni di sicurezza come quella in corso nello Yemen, ha deciso di fare ricorso ai mercati per rastrellare finanziamenti. Non siamo sull’orlo del crac, naturalmente, ma il debito potrebbe salire in fretta fino al 100% del Pil, come era già accaduto alla fine degli Anni 90. Considerando che ormai l’accordo nucleare con l’Iran è fatto, e la politica saudita sta punendo soprattutto se stessa, Riad potrebbe riconsiderare la sua linea sul prezzo del petrolio.
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