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COALIZIONE ANTI ISIS ARABIA SAUDITA
L’Arabia Saudita ha annunciato una coalizione militare contro il terrorismo composta da 34 Paesi islamici e che può contare sull’appoggio di altri 10, tra cui l’Indonesia. Ci sono le monarchie del Golfo, la Turchia, l’Egitto il Pakistan e diversi paesi africani. La base operativa sarà a Riad. L’obiettivo è «serrare le fila e unire gli sforzi per combattere il terrorismo» in tutte le sue forme e manifestazioni.
IL NUOVO IMPEGNO DEGLI STATI DEL GOLFO
il re salman al saud dell arabia saudita
L’Arabia Saudita come altri stati del Golfo (Emirati e Qatar) partecipano già alla coalizione a guida Usa che combatte contro lo Stato Islamico, ma negli ultimi tempi il loro impegno era stato piuttosto limitato. In particolare Riad e gli Emirati hanno spostato la loro attenzione sullo Yemen dove si sono impegnati con raid aerei contro i ribelli sciiti Huthi che per i loro interessi regionali rappresentano una minaccia molto più pressante.
Non è detto quindi che l’impegno di questa coalizione contro il terrorismo vada necessariamente solo nella direzione auspicata dal presidente Obama.
CHI C’E’ E CHI MANCA
Il ministro della Difesa, il principe Mohammad bin Salman Al Saud, ha precisato che l’alleanza non combatterà solo l’Isis, ma «tutti i gruppi terroristici che abbiamo di fronte». I gruppi terroristici saranno sfidati non solo militarmente, ma anche attraverso «l’ideologia e mediaticamente».
Accanto all’Arabia Saudita della coalizione faranno parte Giordania, Emirati, Pakistan, Bahrein, Bangladesh, Benin, Turchia, Ciad, Togo, Tunisia, Gibuti, Senegal, Sudan, Sierra Leone, Gabon, Somalia, Guinea, l’Autorità nazionale palestinese, Comore, Costa d’Avorio, Kuwait, Libano, Egitto, Libia, Maldive, Marocco, Mauritania, Niger, Nigeria e Yemen.
L’Indonesia ed altri dieci paesi islamici, secondo il comunicato, hanno manifestato il loro appoggio alla coalizione. Mancano invece l’Iran, il potente rivale sciita di Riad, né la Siria o l’Iraq.
IL PRESSING DI OBAMA
Il regno saudita è la culla dell’ideologia wahabita, una versione molto rigorosa dell’Islam sunnita, che viene spesso accusato dall’Occidente di avere un atteggiamento troppo blando con il terrorismo. L’inatteso annuncio è arrivato dopo che tanto in Europa che in Usa si erano levate numerose voci che accusavano Riad di finanziare i gruppi estremisti.
Nelle ultime settimane gli Usa avevano moltiplicato gli appelli sulla necessità di mobilitare truppe di terra, in particolare arabe. Proprio lunedì sera, da Washington, il presidente americano, Barack Obama, aveva invocato un più forte sostegno militare dei Paesi della regione alla coalizione anti-Isis.
A questo fine, dalla Turchia, prima tappa del suo tour in Medio Oriente per coalizzare il consenso, del segretario alla Difesa americano, Ash Carter, ha chiesto ad Ankara di controllare meglio il confine con la Siria, in particolare il centinaio di chilometri di frontiera che si ritiene sia utilizzato dall’Isis per il contrabbando e anche per fare passare, in un senso e nell’altro, i terroristi.
KERRY A MOSCA
Adesso, si attendono gli sviluppi da Mosca, dove Russia e Stati Uniti tentano di avvicinare le posizioni tanto sulla lotta all’Isis che per quanto riguarda la transizione a Damasco. Salutando il suo omologo russo, Serghei Lavrov, il segretario di Stato americano, John Kerry, ha detto esplicitamente che spera di trovare «un terreno comune» con la Russia.
E Lavrov si è augurato di poter discutere anche delle attività dell’Isis in Libia, Iraq, Yemen e Afghanistam oltreché del conflitto israelo-palestinese. «Il problema del terrorismo è certamente più ampio che solo le questioni legate alla Siria». Dopo Lavrov, Kerry e Lavrov sono stati ricevuti dal presidente, Vladimir Putin.
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