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Barbara Palombelli per "Il Foglio"
E se, invece, la sconfitta di Genova fosse una botta di fortuna per il Pd e il suo segretario? Non mi convince il pianto generale sulla vittoria di Marco Doria alle primarie di Genova (avrei votato per lui, per Pisapia a Milano, per Nicki Vendola e per tutti i "nuovi" che ora governano le città e le regioni...). Quasi venti anni fa, le città e le regioni cambiarono regole e volti: non li scelsero più in una stanza i capi partito, ma emersero dalle battaglie referendarie di Mario Segni, dall'Alleanza Democratica di Nando Adornato, dai mille laboratori spontanei della società civile (che a destra s'inventò un pezzo da novanta come Silvio Berlusconi e tanti nuovi arrivati non sprovveduti come Letizia Brichetto Moratti).
Dopo un nuovo decennio di antipolitica e di richieste di cambiamento - più o meno in buonafede - le primarie regalano a un Pd e a un centro-sinistra troppo rétro e nostalgico (magistrale il pezzo "La sinistra come mia zia " di Francesco Piccolo sul Corriere di domenica) una bella botta di energia. E un utile strumento dialettico per presentarsi alle primarie vere, quelle per palazzo Chigi, con un candidato unico. Non è chi non veda che Pierluigi Bersani potrebbe - con un vasto consenso - utilizzare l'Eva contro Eva delle Vincenzi-Pinotti genovesi come arma infallibile per sconfiggere tutti i furbetti alla Matteo Renzi.
Se due candidate alle primarie di coalizione genovesi non hanno funzionato, ne discende che il Pd dovrà presentarsi unito alla verifica-scontro con i vendoliani e gli altri eventuali sfidanti "esterni"al partito ma interni alla coalizione che verrà . Unito e con un nome solo, quello del segretario? E infatti, in queste settimane è particolarmente intensa la lobby dei nuovi sindaci emergenti: il filo che lega Michele Emiliano (deluso per la mancata presidenza dell'Anci, l'associazione dei comuni italiani) a Luigi de Magistris potrebbe prefigurare la nascita di un movimento dal basso che potrebbe ricordare altre esperienze passate...
Seguendo questo ragionamento, se il candidato alle politiche sarà uno, naturalmente iscritto al Pd, che faranno gli aspiranti? Butteranno via le tessere che hanno in tasca e fonderanno nuove aggregazioni, rischiando di saltare in aria con tutte le giunte? Spazzati via dal governo tecnico di Mario Monti e Corrado Passera, strapazzati anche dai risultati non proprio eccellenti di quello che fanno in casa, i supernuovi naturalmente già litigano (vedi il duello Emiliano-Renzi), ma producono quel che serve alla ditta: vitalità , scontri, sintesi.
Anche di questo si parlerà giovedì e venerdì al seminario promosso in tempi non sospetti da Goffredo Bettini. Due giorni di dibattito (hotel Aran, Roma eur), un titolo che parte dall'ultimo saggio di Bettini, "Oltre i partiti. Un solo grande campo del cambiamento, inclusivo, aperto, plurale, democratico". Esattamente quello che sta nascendo, fra i frizzi e i lazzi degli editorialisti frettolosi di tanti quotidiani. A volte la politica è davvero una scienza esatta. E ci vogliono fatica e fantasia per apprezzarla.
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