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Paolo Mastrolilli per "la Stampa"
Magari Biden si è lasciato prendere un po' la mano, quando nell'intervista di martedì sera con George Stephanopoulos della Abc ha detto che Putin è un killer, non ha un'anima, e pagherà le interferenze nelle elezioni americane. Il suo giudizio franco però non deve sorprendere più di tanto, perché la linea è cambiata rispetto alla sospetta sudditanza di Trump. Poco prima dell'intervista, l'intelligence Usa aveva pubblicato un rapporto che accusava Mosca di aver influenzato le elezioni del 2020, come nel 2016.
Anche in questo caso l'obiettivo era screditare l'avversario di Donald, stavolta Biden invece di Hillary. Stephanopoulos ha chiesto al presidente di commentare, e lui ha risposto così: «Putin pagherà un prezzo. Abbiamo avuto una lunga conversazione, io e lui. Lo conosco relativamente bene. All'inizio della conversazione gli ho detto: "Io ti conosco, e tu conosci me. Se arriverò alla conclusione che ciò è avvenuto, preparati"» al prezzo da pagare. Allora Stephanopoulos lo ha incalzato: «Lei ha detto a Putin che non ha un'anima».
Biden ha sorriso: «Sì, eravamo nel suo ufficio. Bush aveva detto che lo aveva guardato negli occhi e aveva visto la sua anima, ma io ho commentato che lui non ha un'anima. La risposta di Putin è stata questa: "Noi ci capiamo"». Subito dopo, pensando al tentato omicidio di Navalny, Stephanopoulos ha chiesto: «Pensa che Putin sia un killer?». Biden ha risposto secco: «Lo credo». Non ha specificato le possibili punizioni, ma ha aggiunto che «possiamo camminare e masticare una gomma allo stesso tempo, dove fosse nel nostro interesse lavorare insieme. L'ho dimostrato prolungando il trattato New Start sulle armi nucleari».
Il Cremlino ha rigettato le accuse di Biden come «un attacco alla Russia» e ha richiamato l'ambasciatore negli Stati Uniti per analizzare «cosa fare e come muoversi». Le relazioni russo-americane «sono in una condizione difficile» e Washington le ha spinte «in un vicolo cieco negli ultimi anni», ha detto la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. La realtà è che clima e linea sono cambiati.
La strategia nazionale della Casa Bianca di Trump aveva definito Cina e Russia «potenze revisioniste» che vogliono distruggere la primazia globale degli Usa, ma Donald era stato morbido con Vladimir per ragioni che neanche il "Russiagate" ha chiarito fino in fondo. Biden invece considera Mosca il rivale strategico più pericoloso, dopo Pechino, perché punta a demolire le democrazie.
Ritiene che Putin lo abbia attaccato personalmente, sulle attività del figlio Hunter in Ucraina, perché già all'epoca di Obama accusava Washington di aver fomentato le proteste a Kiev e in Russia per farlo cadere. Ora le vecchie ruggini tornano. A questo però va aggiunto che Biden ha rimesso il rispetto dei diritti umani e la difesa della democrazia al centro della politica estera americana, e ciò gli impedisce di tollerare gli abusi di Putin, come il tentativo di eliminare Navalny. La nuova linea quindi è quella che il capo della Casa Bianca ha riassunto nella volontà di «camminare e masticare una gomma allo stesso tempo».
Dove sarà possibile dialogare e lavorare con la Russia, nell'interesse nazionale degli Usa e degli alleati, lo farà; dove ci saranno divergenze, non darà concessioni. Come ci ha spiegato Mike Carpenter, storico consigliere di Biden sulla Russia, il presidente vuole «un approccio da una posizione di forza. Contenere l'aggressione russa, impedirle di sovvertire le nostre democrazie, assicurare stabilità strategica. Il futuro potrebbe portare ad una relazione più produttiva, ma non dobbiamo essere ingenui e pensare che sia dietro l'angolo».
L'intelligence ad esempio sta completando l'analisi dei recenti attacchi digitali, e delle accuse secondo cui il Cremlino aveva offerto taglie ai talebani per uccidere i soldati Usa in Afghanistan. Se questi atti ostili verranno confermati, ci saranno rappresaglie. La nuova linea pone un dilemma anche all'Italia, che ha forti interessi energetici in Russia. Il problema è capire fino a che punto Washington sarà disposta a tollerare, e quando gli alleati dovranno invece fare una scelta di campo netta.
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