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Fabio Martini per La Stampa
Ma intanto il mondo ha capito bene quel che è accaduto a Roma. Mentre in Italia si prolunga l'aggiustamento tattico tra le due ali del Pdl, le cancellerie non hanno tardato a trasmettere a palazzo Chigi il compiacimento per il cessato allarme sulla crisi di governo inizialmente voluta da Silvio Berlusconi. Angela Merkel ne ha parlato con Enrico Letta in un colloquio telefonico.
Il presidente americano Obama e quello francese Francois Hollande hanno trasmesso la propria soddisfazione a palazzo Chigi attraverso i canali diplomatici e quanto al premier inglese David Cameron si è fatto vivo con un messaggio. Sia pure con sfumature, sensibilità e interessi diversi, le cancellerie occidentali prendono atto con soddisfazione della ritrovata stabilità , anche se naturalmente in occasioni come queste non può che restare inespresso il compiacimento - che c'è - per il ridimensionamento di Berlusconi, personalità che suscita una diffidenza oramai diffusa ad ogni latitudine.
D'altra parte proprio il rischio che l'Italia fosse risucchiata nel proverbiale gorgo di incertezza, aveva prodotto nei giorni scorsi un coro pro-Letta talmente global che probabilmente non ha precedenti nella storia italiana. Rinfrancato da queste gratificazioni internazionali, da una vittoria politica domestica inattesa e plateale, ma anche dalla lettura della intervista di Matteo Renzi a "La Stampa" (giudicata un realistico allineamento ai nuovi scenari), ieri mattina Enrico Letta ha deciso che era giunto il momento di incassare mediaticamente.
L'appuntamento con Maria Latella negli studi di Sky era stato fissato già da due mesi ed è giunto nei giorni di massima forza politica di Letta. E il presidente del Consiglio, quasi liberato da decenni di autocensure e di sentimenti soffocati, ha ribadito un concetto già espresso in Parlamento («Si è chiusa una stagione politica di 20 anni»), ma poi ha volutamente "stressato" il senso di una novità decisa assieme ad Alfano: valorizzare il più possibile il vicepresidente del Consiglio. Per potenziare ancora di più il nucleo scissionista.
Ecco perché, con rischio calcolato, Letta ha detto quella frase («Alfano ha affermato una leadership forte e marcata: è stato sfidato e ha vinto»), che tanta irritazione ha suscitato tra i lealisti del Pdl. Certo, costringendo Alfano ad una replica piccata, che però a palazzo Chigi considerano fisiologica. Quasi un gioco delle parti. E intanto sarà proprio Alfano, non Letta, ad affiancare il presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso nella visita a Lampedusa che si svolgerà in settimana.
Assieme al programmato protagonismo di Angelino Alfano (che esattamente come Letta finora è sempre stato un numero due), il presidente del Consiglio ha deciso di giocare le sue chances nei prossimi mesi quasi unicamente su una carta: la riduzione delle tasse sul costo del lavoro, il che tradotto in soldoni significa più soldi nelle buste paga degli italiani.
Certo, per garantirsi nel 2014 un intervento significativo che lasci il segno sull'economia nazionale, le risorse a disposizione sono modeste, soprattutto dopo che Letta ha dovuto "pagare" le cambiali elettorali ai partiti della maggioranza, in particolare al Pdl con l'Imu. Anche per questo motivo Letta è intenzionato ad incontrare separatamente le parti sociali, riservandosi un tavolo finale collettivo, allo scopo di rafforzare il messaggio corale sul taglio del cuneo fiscale che a palazzo Chigi valutano di un'entità oscillante tra i 4 e i 5 miliardi.
E intanto, tra dieci giorni, il premier potrà togliersi una soddisfazione che nei giorni scorsi è stata in forte dubbio: il consigliere diplomatico del presidente, l'ambasciatore Armando Varricchio, ha messo a punto con l'amministrazione americana gli ultimi dettagli per la visita di Letta alla Casa Bianca col presidente Obama. Un incontro al quale Letta può presentarsi dopo aver conseguito una vittoria politica della quale all'estero si coglie la valenza contingente, ma anche quella strategica, l' eclissi probabilmente definitiva di Silvio Berlusconi.
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