DAGOREPORT - NON TUTTO IL TRUMP VIENE PER NUOCERE: L’APPROCCIO MUSCOLARE DEL TYCOON IN POLITICA…
1 - LE TELEFONATE ALLARMATE DEI GRANDI INVESTITORI: COSA STA ACCADENDO?
Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
Sarà anche stato smentito, ma nel frattempo sull'Italia era già arrivata una pioggia di telefonate da tutte le principali capitali finanziarie: chiamavano i grandi creditori esteri dell'Italia, quelli che hanno comprato il debito sulla base dell'impegno dello Stato a onorarlo e a farlo in euro, non in una diversa moneta esposta a forti svalutazioni.
Il documento pubblicato ieri da Huffington Post Italia, firmato dai leader di Movimento 5 Stelle e Lega, secondo gli interessati sarebbe una versione superata. Ma a Londra e a New York, a molti degli investitori che contribuiscono a tenere basso il costo del debito dello Stato, delle imprese e delle famiglie italiane non è piaciuto affatto. È da lì che è partito un tentativo frenetico di capire.
Non è piaciuto, in particolare, quel riferimento alla necessità di «introdurre specifiche procedure tecniche di natura economica e giuridica che consentano agli Stati membri di recedere dall'Unione monetaria». Non è piaciuto quel riferimento a «un percorso condiviso di uscita concordata nel caso ci sia una chiara volontà popolare in tal senso»: un chiaro riferimento all'ipotesi di un referendum sull'euro.
E forse ancora meno è piaciuto quel riferimento (a pagina 38 del documento) a «congelamento e cancellazione dei Btp in pancia alla Banca centrale europea», che a fine anno varranno circa 250 miliardi di euro e dunque circa l'11% di tutto il debito. Molti investitori naturalmente hanno notato l'errore piuttosto grossolano contenuto nel programma: quei 250 miliardi di euro di titoli italiani in grandissima parte non sono in mano alla Bce, ma alla Banca d'Italia in base alle regole stabilite per gli interventi. La perdita sarebbe dunque imposta allo stesso Paese che la decreta, se solo una scelta del genere fosse concepibile.
Ma soprattutto, molti dei banchieri e dei gestori di fondi internazionali che hanno chiamato ieri sera, gli stessi che detengono debito pubblico italiano per circa 700 miliardi e sono capaci di venderlo in un istante, facendo esplodere lo spread, hanno fatto un'immediata equivalenza: se chi ha steso quella bozza di programma di governo M5S-Lega è disposto a non onorare il debito verso la stessa Banca centrale, che garanzie restano che rispetti gli impegni verso gli altri creditori? «Non riesco a credere che questo non sia un fake», commentava ieri un investitore europeo con decenni di esperienza.
Queste sono le domande che hanno motivato molte delle richieste di chiarimenti piovute all' improvviso sull'Italia da tutto il mondo. Del resto a tutti è molto evidente che la relativa quiete dei mercati sull'Italia dipende dall'aspettativa che M5S e Lega al governo siano in futuro molto più cauti e concreti di quanto siano stati in campagna elettorale.
Poche ore prima che uscisse quel documento diceva Carlo Capuano di Dbrs, una delle quattro agenzie di rating dalle quali dipende l'accesso delle banche italiane alla liquidità della Bce: «Rispetto al passato, i partiti hanno moderato le loro posizioni euroscettiche, anche relative al referendum sull'euro».
Ma se tutto questo cambia, o gli investitori internazionali iniziano a temere che possa cambiare, diventeranno riluttanti a prestare denaro o a investire nel capitale di qualunque soggetto in Italia. Anche prima di stanotte in segni si vedevano già. Il titolo di Stato italiano a dieci anni doveva offrire già lo 0,22% annuo più di quello portoghese, anche se quest'ultimo è quattro volte meno liquido e dunque meno facilmente vendibile. Un chiaro segno di diffidenza: la stessa che ha iniziato a manifestarsi ieri sera nelle telefonate piovute su Roma e su Milano da tutto il mondo.
2 - L'UE BACCHETTA L'ITALIA SU MIGRANTI E DEBITO M5S-LEGA ALL'UNISONO "NON INTERFERITE"
tabelle debito pubblico giugno 2017
Marco Bresolin per “la Stampa”
Non è casuale il triplo intervento a gamba tesa di Bruxelles nella politica italiana, in questa fase particolarmente sensibile ai «moniti» che arrivano dalla Ue. L'allarme di Valdis Dombrovskis sul debito pubblico, l'avvertimento di Jyrki Katainen sul rispetto delle regole e sull' impossibilità di modificare i Trattati Ue, aggiunti alla richiesta di Dimitris Avramopoulos di «non cambiare linea sull' immigrazione», sono un chiaro messaggio al governo che Lega e Movimento 5 Stelle vogliono far nascere. Se pensano di venire a Bruxelles a fare la guerra - questo il «pizzino» - c' è il rischio che a farsi male sia l'Italia.
L'umore delle istituzioni europee in vista di un possibile esecutivo giallo-verde è abbastanza noto a chi frequenta i corridoi di quei palazzi. Ma i timori, le battutine e le preoccupazioni per «il governo degli anti-sistema» finora erano rimasti appunto confinati nei corridoi e nelle confidenze fatte a microfoni spenti. Ieri invece si è deciso di dire le cose «in chiaro», senza troppi peli sulla lingua.
Provocando l' inevitabile reazione di Matteo Salvini contro «l' ennesima e inaccettabile interferenza dei non eletti» di Bruxelles. Si è fatta attendere qualche ora in più, ma nel tardo pomeriggio è arrivata anche la replica di Luigi Di Maio con un video su Facebook: «Subiamo attacchi continui, anche oggi da qualche eurocrate non eletto da nessuno. Ma io più sento questi attacchi e più sono motivato perché vedo un certo establishment che ha tanta paura del cambiamento».
L'UNITÀ RITROVATA
Il silenzio dei Cinque Stelle, durato tutto il pomeriggio, aveva fatto strappare qualche sorriso a Bruxelles tra chi continua a sperare in un fallimento della trattativa. A metà pomeriggio, una fonte Ue faceva notare: «Ecco, Salvini si è subito scagliato contro l' Europa, mentre nessuno del M5S ha replicato. I grillini vogliono fare il poliziotto buono e la Lega quello cattivo, ma questa ambiguità finirà per dividerli». E invece la reazione di Di Maio ha di fatto ricompattato la coalizione. Unita contro il comune nemico. Perché, dice Salvini, «non possiamo andare a Bruxelles con un governo che rappresenti due idee lontane». Se l' obiettivo era quello di provocare qualche crepa nella coalizione, dunque, missione fallita.
IL RISCHIO ESCALATION
C'è chi ritiene che la tripletta sparata ieri sull' Italia sia solo la punta di un iceberg, prologo di un' offensiva che potrebbe farsi sentire a breve in maniera più netta. Tra l' altro l'appuntamento mensile della Commissione con il capitolo procedure di infrazione - che verranno adottate oggi e annunciate domani - produrrà una grandinata di interventi sull' Italia: quattro rinvii alla Corte di Giustizia (tra cui quelli su smog e Xylella) e altre sei decisioni tra lettere di messa in mora e pareri motivati (i vari step delle procedure di infrazione).
Si tratta di annunci attesi da tempo e riferiti alle (non) azioni dei governi precedenti, ma che comunque sono un segnale inequivocabile: la tregua è finita.
Ieri l' affondo più netto è stato quello del vicepresidente della Commissione, Jyrki Katainen. In poco più di un minuto, parlando dell' Italia, ha detto due cose estremamente significative. La prima: «Le regole del Patto di Stabilità si applicano a tutti gli Stati e non ho segnali che la Commissione concederà eccezioni».
La seconda: «Le decisioni sul Patto di Stabilità le prende il Consiglio e non vedo il segnale che gli altri governi vogliano cambiare le regole o fare eccezioni per qualcuno». Libera traduzione: o vi adeguate, o vi adeguate. L' avvertimento di Katainen ha una motivazione molto chiara: l' Italia deve rispettare i vincoli europei perché altrimenti sarà il Paese stesso a pagarne le conseguenze. Lo aveva spiegato poche ore prima il suo collega Valdis Dombrovskis, ricordando che Roma ha «il secondo debito pubblico dell'Eurozona» e che quindi «deve metterlo su una traiettoria di riduzione», principalmente «diminuendo il deficit».
Su un altro terreno, altrettanto minato, è andato invece a battere Avramopoulos. Il commissario greco ha chiesto all' Italia di non cambiare linea sulla politica migratoria. Lo ha detto riferendosi al lavoro fatto dalle navi battenti bandiera tricolore nel Canale di Sicilia, che - come ripete spesso Jean-Claude Juncker - con i soccorsi in mare «hanno salvato l' onore dell'Europa».
Ecco, a Salvini questo genere di complimenti fa venire l' orticaria. Fosse per lui, le navi nel Mediterraneo dovrebbero rispedire tutti i migranti in Libia. «Abbiamo accolto e mantenuto anche troppo - ha replicato il leghista -, ora è il momento della legalità, della sicurezza e dei respingimenti». E del braccio di ferro con Bruxelles.
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