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Carmelo Lopapa per “la Repubblica”
«A me questa legge elettorale fa schifo, queste riforme fanno schifo, ma lo capite che corriamo il rischio di ritrovarci un presidente ostile? E a quel punto addio, me ne vado all’estero e vi spedisco una cartolina ». Silvio Berlusconi non va più per il sottile, quando viene incalzato dagli oppositori interni nel pieno dell’assemblea coi deputati nel pomeriggio. Ha chiuso accordi pesanti e non ha alcuna intenzione di tradirli.
Al punto che dentro Forza Italia iniziano ad accarezzare il sogno impossibile del ritorno nella stanza dei bottoni di Palazzo Chigi, magari da mettere a frutto subito dopo l’elezione di un «amico» al Colle. «Inutile girarci intorno, adesso siamo tornati centrali, Matteo mi ha chiesto i voti perché non ha più la maggioranza, poi vedremo che accade » spiega Berlusconi ai deputati dopo averlo ripetuto ad Angelino Alfano.
Col leader Ncd torna a vedersi 48 ore dopo l’incontro a Milano, stavolta a Palazzo Madama coi capigruppo dei due partiti. «Sono tornato in sella a tutti gli effetti, hanno fatto di tutto per abbattermi, vedrete che il governo Renzi non potrà fare a meno di noi», confida di nuovo l’ex Cavaliere più che compiaciuto quando in serata cena con Deborah Bergamini, Mariastella Gelmini, Laura Ravetto, tra gli altri.
Certo è che quando a metà giornata il “partito del Nazareno” — come gli avversari di Fitto hanno battezzato l’asse Pd-Fi — incassa gli abbondanti 175 voti sul maxi emendamento Esposito che ridisegna l’Italicum, il capogruppo e big sponsor Paolo Romani non esclude nulla. «Ingresso in maggioranza? Assolutamente prematuro parlarne, certo siamo decisivi». I senatori contrari nel centrodestra sono stati 17: dieci forzisti, 5 berlusconiani iscritti in Gal, due centristi. In aula, tra i forzisti prendono la parola solo i dissidenti, Bonfrisco, Minzolini.
Angelino Alfano lascia Palazzo Madama con Schifani, Sacconi e la De Girolamo dopo il vertice con Fi, gli chiedono se tutto questo è preludio di un ingresso forzista in maggioranza, risponde che ci sarà «una posizione comune sul Colle e anche sulle riforme e la legge elettorale e questo ha certamente un significato».
I due partiti non avanzeranno un nome, restano in ballo i due di Casini e Amato dei quali hanno parlato a Milano, attendono che sia Renzi a proporne uno e che sia «un moderato». Oggi il ministro dell’Interno inizierà a sondare Renzi al termine del Consiglio dei ministri, ma nel clou della trattativa si entrerà solo nel fine settimana.
BERLUSCONI E ALFANO AL QUIRINALE FOTO LAPRESSE
«La verità è che Renzi, Verdini e Berlusconi hanno già chiuso, all’insaputa di Angelino, e hanno chiuso su un nome blindato da tirare fuori alla quarta votazione: quello di Anna Finocchiaro», spifferano almeno un paio di bene informate fonti vicine all’ex Cavaliere.
La strategia impone riserbo e cautela. Quella che il leader forzista predica per oltre un’ora ai suoi deputati ricevuti in gruppo a Palazzo Grazioli: «Ai primi scrutini voteremo un candidato di bandiera e sarà Antonio Martino, dalla quarta votazione, si convergerà sul candidato condiviso con il Pd». Quel che conta per lui è che «adesso siamo nelle condizioni di rimettere insieme i moderati», dice per spiegare la marcia indietro sull’Italicum. Ma già Matteo Salvini lo liquida a distanza, altro che lista unica: «Chi tiene in piedi il governo Renzi non può pensare di dialogare con la Lega».
A metà della filippica di Berlusconi in assemblea insorgono i deputati di Fitto. «Siamo di fronte al crollo elettorale di Forza Italia, fino a quella che alcuni mesi fa chiamai quota Martinazzoli» incalza Daniele Capezzone: «Il cedimento finale a Renzi raggiunge vette da sindrome di Stoccolma: prigionieri e contenti di esserlo». Berlusconi non ci vede più e sbotta: «Non condivido nulla di ciò che hai detto. La tua posizione é quella di altri ci indebolisce, quindi vi chiedo di cambiare linea o di cercare un’altra strada».
Capezzone ribatte a sua volta: «Qui ad andarsene sono i nostri elettori, che non ci vogliono sottomessi a Renzi». Saverio Romano non è da meno: «C’è chi nel partito sostiene che l’accordo serve a te, presidente, perché Forza Italia è Berlusconi e quindi...»
Anche qui, il leader esplode: «Ma che vai dicendo? A me il patto non serve a nulla, anzi, se proprio lo volete sapere, a me queste riforme fanno schifo». Raffaele Fitto ne è poco convinto, nelle stesse ore tiene a rapporto i senatori che hanno votato contro e subito dopo i “suoi” deputati. «Silvio se lo scorda che gli faremo il favore di andare via, se ha gli strumenti regolamentari ci cacci. Purtroppo per lui resteremo e daremo battaglia per impedire che Forza Italia muoia come piccola lista civica del partito della nazione, magari dopo un governo di fatto Renzi-Berlusconi».
MANIFESTAZIONE PDL A VIA DEL PLEBISCITO AGOSTO RAFFAELE FITTO
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