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Alessandro De Angelis per la Stampa - Estratti
Pare passato un secolo, eppure solo pochi mesi fa, a sinistra, si parlava del modello «Front national» o della «Kamala italiana» cercando fuori ciò che si voleva essere in casa. Vecchio vizio, la nevrosi esterofila, che ha accompagnato un po’ tutte le stagioni nell’ultimo trentennio: dall’Ulivo mondiale con Clinton fino a Macron, per qualcuno, Tsipras per qualcun altro, Obama per tutti, passando – e andò di gran moda – per la lezione spagnola: todos Zapatero.
È andata male, in Francia e Stati Uniti, ed ecco l’altro, eterno riflesso pavloviano, tutto domestico: il Papa straniero, alias il «nuovo Prodi». E nella formula c’è anche quel mood proustiano da tempo perduto, quantomeno per quella classe dirigente un po’ agé che ricorda la volta e mezzo in cui vinse col Cavaliere (la seconda non fu scintillante).
ELLY SCHLEIN A POMIGLIANO D ARCO
Per quelle strane curve che fa la storia, il «nuovo» di cui si parla ha anche a che fare col «vecchio» Professore, quantomeno come affinità culturale, visto che gli ha scritto una prefazione a un libro. L’altra (a un altro libro) gliel’ha scritta Sergio Mattarella.
Ed ecco tutta una ridda di pensieri e retropensieri su Ernesto Ruffini, figlio di Attilio – partigiano, vicesegretario della Dc, più volte ministro –, nipote di Ernesto, arcivescovo di Palermo, fratello di Paolo, prefetto del dicastero della Santa Sede. Attualmente, capo dell’Agenzia delle Entrate, dove, sceso dal palco della Leopolda, fu nominato da Renzi e lì è rimasto con i governi successivi. Polemicamente è stato già ribattezzato dai giornali di centrodestra «Mr fisco», gioco facile, ma anche bel problema per gli altri, in un paese dove si vincono le elezioni parlando di tasse come «pizzo di Stato».
ELLY SCHLEIN A POMIGLIANO D ARCO
Pare, raccontano i ben informati, che proprio per essere più libero scioglierà il rapporto a breve. E comunque c’è tutto un sottobosco, non più di primo pelo e lontano dai riflettori, che alimenta la chiacchiera, in quel mondo cosiddetto di centro, grande o piccolo che sia, alla ricerca perenne di un interprete. Bastava farsi un giro in Parlamento: il telefono di Bruno Tabacci ha ricominciato a squillare, i capannelli riuniti attorno a Dario Franceschini per capire se la cosa è seria, con annessa risposta double face: stima ma cautela su quanto sia «prematura» la discussione. Perché poi, bene la suggestione, che non è ancora una trama, ma fare un partito non è fare un convegno e di fumate nere sono pieni i conclavi del centrosinistra.
ernesto maria ruffini ricevimento quirinale 2 giugno 2024
La verità è che, essendo per ora appunto una suggestione, alimentata ad arte nel gioco interno, tra correnti e gelosie democristiane, c’è un irrisolto sul “che cosa federare”: se la famosa nuova Margherita - qualcuno, di recente, ha pure evocato Francesco Rutelli - con l’idea di riequilibrare al centro una coalizione spostata a sinistra oppure l’intera compagnia. E né l’una né l’altra impresa è un pranzo di gala per un professionista stimato ma privo di una forza propria (e altrui). Anatomia del federatore: la discesa in campo di Romano Prodi non fu l’effetto del suo pellegrinaggio ciclistico a Compostela, di qualche giorno prima, ma una scelta dell’allora principale partito della coalizione e di una scissione della post-Dc, nel pieno di una temperie politica.
MAURIZIO LEO ERNESTO MARIA RUFFINI
Qui invece c’è il capo del partito più forte che se la vuole giocare e non si sente affatto figlia di un Dio minore. Se parli con i suoi, ti dicono pure di «non stare a perdere tempo, perché al prossimo giro a palazzo Chigi o c’è Giorgia o Elly, punto». Dalla sua ha pure i numeri che azzerano la discussione interna e il racconto finora trionfalistico di chi l’ha intronata, prima di accorgersi che non era governabile in modo classico e, invece di sfidarla sulla politica, si è messo cercare altre figure più gestibili. Altra specialità della casa: prima tutti col segretario, poi i tentativi di condizionarlo, poi il dibattito sui Papi e sul riequilibrio.
E poi c’è quel campo minato del centro, dove Calenda balla da solo e Renzi è «infederabile». Ha detto proprio così Beppe Sala, altro aspirante federatore – della parte o del tutto – che ha cominciato a muoversi anche lui: il nord, i moderati, la battaglia dell’Anci per marcare una posizione. Ed effettivamente ha ragione Sala su quanto sia ingestibile Renzi. Fosse per lui, rientrerebbe nel Pd, per questo è diventato il principale sponsor di Elly Schlein.
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