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Claudio Gallo per “la Stampa”
L'articolo 370 della Costituzione indiana, che il governo integralista hindu del primo ministro Narendra Modi ha appena sostanzialmente abrogato, era un cerotto che da 69 anni nascondeva malamente una ferita mai sanata. Lo statuto speciale concesso da Dehli al Kashmir, stato a maggioranza musulmana al confini con il Pakistan, era permanentemente provvisorio, come hanno riconosciuto diverse sentenze della Corte suprema indiana. Un nodo che era bene non sciogliere.
Si riapre ora, con tutti i timori di un confronto tra due potenze nucleari, la questione dello stato indiano autonomo ai piedi del Karakorum, quello che i pachistani chiamano IoK (Indian Occupied Kashmir). Per questa valle «di straordinaria, quasi ultramondana, bellezza», come l' ha definita lo scrittore britannico William Dalrymple, tra India e Pakistan si sono già combattute tre guerre che hanno lasciato in eredità l' area più militarizzata del mondo.
la regione contesa tra india e pakistan
Con una stretta sulla sicurezza, culminata l' altro giorno con l' allontanamento dei turisti in piena alta stagione (Modi aveva intimato ai giovani della valle, la maggioranza della popolazione, di scegliere «tra turismo e terrorismo») e l' invio di almeno 25 mila nuovi poliziotti federali, cominciato il 29 luglio, Delhi ha preparato la strada all'annuncio choc di ieri. Due ex primi ministri dello stato, Omar Abdullah e Mehbooba Mufti, sono agli arresti domiciliari.
L'idea di abolire lo statuto speciale del Kashmir non è nuova negli ambienti dell'integralismo hindu, Il Bjp, il partito al governo, la agita da anni nei comizi elettorali.
Considerati i pericoli di una sua realizzazione e le difficoltà legali (i dubbi sulla legittimità di una decisione unilaterale) sembrava un espediente ideologico per infiammare le folle arancioni. Ma come nel 1992 per la moschea di Babur (il tempio di Rama ad Ayodhya per gli hindu), gli slogan ripetuti per anni diventano fatti. Modi incassa così un pericoloso consenso favorendo un'ondata nazionalistica che fa dimenticare anche le incertezze della situazione economica globale e annuncia un discorso storico per domani.
Lo storico partito del Congresso, la principale forza di opposizione in India, ha definito il 5 agosto «una giornata nera nella nostra storia costituzionale». Il leader Kapil Sibal ha detto al governo: «Noi vincemmo il Kashmir, voi lo state perdendo». Tra i ranghi dell'opposizione c'è il timore che la mossa di Modi possa portare a una svolta autoritaria nel Paese.
Il Pakistan, che attraverso il premier Imran Khan aveva nei giorni scorsi chiesto una mediazione al presidente americano Donald Trump, aveva rivolto un appello alla ragionevolezza di fronte al pericolo di una guerra tra due Paesi dotati di atomiche.
«La comunità internazionale riconosce il Kashmir come un Paese conteso. Nessun passo unilaterale del governo indiano può cambiare questo status», ha detto un portavoce del governo. Islamabad si è detta pronta a qualsiasi azione per difendere la popolazione musulmana della valle.
L'onda lunga di questa nuova escalation è cominciata nel febbraio scorso con un'autobomba del gruppo terroristico Jaish-e-Mohammed (ufficialmente bandito, agisce in realtà indisturbato dentro i confini pachistani) ha ucciso 44 poliziotti indiani in Kashmir. Dopo l' attentato i caccia di New Delhi hanno bombardato «basi di terroristi» oltre confine, per la prima volta dalla guerra del 1971.
La crisi del Kashmir. al di là dei timori legati alla storia conflittuale dei due paesi, rischia di allargarsi all' intera regione. Il Pachistan ha avuto un ruolo chiave nel trattenere i taleban in modo da favorire il ritiro dei soldati americani dall' Afghanistan. Se Imran Khan si sentisse troppo stretto nell' angolo potrebbe lasciar fare all' Isi, il famigerato servizio segreto pachistano, che storicamente ha creato dal nulla (con i soldi dell' Arabia Saudita) gli «studenti di teologia». La crisi è già a livelli di guardia, ma siamo soltanto all' inizio.
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