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Giusi Fasano per il "Corriere della Sera"
«Senza lavoro». I vertici dell'Ilva lo scrivono in un comunicato che l'azienda diffonde alle otto di sera. Trentuno righe per disegnare il panorama nero che verrà «a seguito del rigetto odierno da parte del gip...».
Il gip è come sempre Patrizia Todisco e porta la sua firma la risposta di ieri alla richiesta dello stabilimento: il giudice dice «no» al dissequestro dei prodotti finiti e semilavorati ai quali erano stati messi i sigilli il 26 novembre scorso perché considerati «corpo di reato» e «provento di attività illecita» (l'inquinamento e il disastro ambientale). E non serve appellarsi al decreto legge sul caso Taranto perché, considera il gip, «la legge non è retroattiva».
Si tratta di un milione e settecentomila tonnellate di merce pronta o quasi pronta per le consegne. Valore: più o meno un miliardo di euro. Centinaia e centinaia di bancali di materiale che resterà fermo nello stabilimento o sulle navi in rada e che quindi, come annuncia la nota aziendale, «non potrà essere inviato agli altri stabilimenti del gruppo per le successive lavorazioni o consegna ai clienti finali».
A meno che l'emendamento al decreto annunciato ieri sera dal ministro dell'Ambiente Corrado Clini non sblocchi la situazione. Se invece tutto rimanesse com'è si andrebbe incontro, scrive l'Ilva, a «drammatiche conseguenze per i livelli occupazionali e per la situazione economica dell'azienda».
E tanto perché si sappia quali nuvole si addensano all'orizzonte, l'industria della famiglia Riva diffonde anche le stime di quelle «drammatiche conseguenze»: «Da ora e a cascata per le prossime settimane circa 1.400 dipendenti (laminazione a freddo, tubifici e servizi correlati) rimarranno senza lavoro».
A questo numero si aggiungono i 1.200 lavoratori già in cassa integrazione. E parliamo soltanto di Taranto. Ma ci sono anche gli altri stabilimenti del gruppo in Italia e all'estero e qui i conti parlano di «una ricaduta occupazionale che coinvolgerà 2.500 addetti». Totale (compresi i cassintegrati) 5.100 persone «senza lavoro».
«Credo che purtroppo se le cose resteranno come sono bisognerà aggiungere alla lista altre migliaia di nomi» valuta Antonio Talò, segretario generale Uilm Taranto che è il sindacato con più iscritti fra i dipendenti dello stabilimento. Ancora Talò: «Nell'ultima riunione con l'azienda ci hanno detto "domani (oggi, ndr) lo stipendio ci sarà ma non ci chiedete niente sul futuro perché non sappiamo come andrà a finire". Hanno un miliardo in meno in tasca e c'è un problema serio di liquidità ... insomma: è un disastro. Ma venderemo cara la pelle».
I toni tragici del comunicato raccontano di una filiera che sarà ridotta all'inattività : «Mancando la disponibilità di prodotti finiti e semilavorati verrà del tutto interrotta la lavorazione verticalizzata a Taranto e negli altri stabilimenti Ilva e sarà necessario ricostruire da zero un nuovo parco prodotti (...). Si fermeranno a catena gli impianti Ilva di Novi Ligure, Genova-Racconigi, Salerno, Salonicco, Tunisi e diversi stabilimenti presenti in Francia, tutti i centri di servizio Ilva come Torino, Milano e Padova, nonché gli impianti marittimi di Marghera e Genova». Non è finita: «Le ripercussioni maggiori si avranno a Genova e Novi Ligure».
Scontato (e annunciato a tarda sera) il ricorso al tribunale del Riesame che però difficilmente fisserà entro pochi giorni la data dell'udienza. Quindi al momento la sola contromisura possibile al «no» del giudice Todisco sembra essere quella che l'azienda più temeva: ricominciare daccapo a realizzare i prodotti sotto sequestro, un'operazione che dovrebbe richiedere almeno due-tre settimane.
I più sorpresi di tutti sono i lavoratori di Genova: Francesco Grondona, segretario provinciale della Fiom, si stupisce e dice «non so giudicare l'annuncio dell'azienda» dato che «fino alle sette di sera, e dopo aver saputo del no al dissequestro, ci avevano illustrato un piano di produzione per arrivare comunque fino al 7 gennaio». Una data lontanissima, vista dai depositi della merce sequestrata.
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