BUNGA BUNGA ALLA FRANCESE - DOPO LA GALERA A NEW YORK, IL CARCERE A LILLE: COSTANO CARE A STRAUSS-KAHN LE AMMUCCHIATE ALL’HOTEL CARLTON - NELL’INCHIESTA ANCHE DUE SUOI AMICI IMPRENDITORI CHE AVREBBERO FORNITO ‘LE MIGNOTTON’ METTENDOLE IN CONTO ALLE LORO SOCIETÀ - L’EX DIRETTORE DEL FMI, FERMATO CON L’ACCUSA DI ESSERE “COMPLICE” OLTRE CHE “UTILIZZATORE FINALE” DEL GIRO DI ESCORT, SI DIFENDE: “NON SAPEVO CHE FOSSERO PROSTITUTE”…

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Alberto Mattioli per "la Stampa"

Dominique Strauss-Kahn è di nuovo in carcere, in stato di fermo dalle 9 di ieri in una caserma della Gendarmeria di boulevard Louis XIV, a Lille. Probabilmente, meno duro che lo Spielberg newyorchese di Rikers Island. Però l'ex direttore del Fmi ha passato la notte in una cella di tre metri per due e mezzo, con un bagno provvisto di doccia, lavandino e gabinetto alla turca. In una sala vicina, un distributore di caffè: «Non è un servizio vip», fa sapere un habitué dei luoghi.

Decisamente, a Dsk non portano fortuna gli alberghi. Negli Usa fu fatale alle sue ambizioni presidenziali l'«affaire Sofitel», dal nome dell'hotel di New York dove avrebbe tentato di violentare una cameriera. Questa volta è finito nei guai per l'«affaire Carlton», un cinque stelle di Lille al centro di un giro di prostituzione. La vicenda, per la verità, è iniziata in Belgio, dove la polizia ha ingabbiato un francese, Dominique Alderweireld, in arte «Dodo la saumure», Dodo la salamoia, di professione gestore di bordelli. In Belgio le case chiuse sono legali, farci lavorare minorenni non in regola con il permesso di soggiorno invece no.

Di indagine in indagine, l'inchiesta ha passato la frontiera e si è focalizzata sul Carlton di Lille e soprattutto sul suo direttore delle relazioni pubbliche, René Kojfer, che pare fornisse ai suoi clienti anche relazioni molto private. Da lì, gli inquirenti sono risaliti ad alcuni notabili della città. Nei guai sono finiti il numero tre della polizia della regione, Jean-Christophe Lagarde, e due noti imprenditori, entrambi amici di Dsk: David Roquet, direttore di una filiale del gigante dell'edilizia Eiffage, e Fabrice Paszkowski, dirigente di una società di materiale sanitario e militante socialista.

Sarebbero stati loro a fornire a Dsk le donne per quelle che i media chiamano pudicamente «parties fines», e mettendole in conto alle loro società. Gli incontri si sarebbero svolti a Lille, a Parigi e a Washington, l'ultimo il 13 maggio scorso, cioè alla vigilia dell'arresto di Dsk a New York. Ora, frequentare prostitute è legale, in Francia come in Italia. Ma gli inquirenti ipotizzano per Dsk due reati.

Uno è la «complicità per prossenetismo aggravato in banda organizzata», perché Dsk sarebbe stato complice e non solo «utilizzatore finale» del giro di escort. L'altro è l'appropriazione indebita, il che presume che fosse a conoscenza che le callgirl erano pagate con i soldi delle aziende per cui lavoravano i suoi amici. Dsk rischia vent'anni per il primo reato e cinque per il secondo.

Stando ai verbali che si è procurato «Libération», le testimonianze delle ragazze divergono. Florence V., presente a Washington, garantisce che Dsk non sapeva che lei fosse una prostituta; Mounia R. dice invece che «i presenti non potevano ignorare che la mia prestazione era remunerata». Stesse contraddizioni sull'atteggiamento di Dsk, che per Florence era «molto attento e gentile» e per Mounia per nulla. Anzi, il sesso con lui sarebbe stato, benché consensuale, «violento».

E Dsk? Da mesi chiede di essere ascoltato dai giudici, che invece l'hanno lasciato per ultimo. Ieri non ha parlato né l'hanno fatto i suoi avvocati. La linea difensiva è sempre quella esposta dal suo biografo, Michel Taubmann: Dsk ha sempre ammesso di aver partecipato a «serate libertine», ma ignorando che le sue partner erano prostitute. E in ogni caso ha «in orrore» ogni forma di prossenetismo. Secondo radio Rtl, intenderebbe denunciare il ruolo ambiguo dei servizi francesi, che avrebbero manovrato l'inchiesta per danneggiarlo. Domani il giudice deciderà se rinviarlo a giudizio.

 

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