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Maria Giovanna Maglie per Dagospia
Sondaggi, sondaggi, sondaggi, ché gli americani ne sono gli inventori e perfezionatori, e servono a far pulizia delle cavolate che mai come in queste primarie verso le elezioni dell’8 novembre 2016 così allegramente e abbondanti sono state scritte. Gli ultimi per esempio hanno convinto a precipitoso passo indietro sull’ipotesi di candidarsi come terzo uomo l’ex sindaco di New York, Michel Bloomberg, altro che non voler dare vantaggi a Trump; gli hanno spiegato che con Hillary forte e Trump pure, lui non avrebbe nessuna possibilità di vittoria, e tanto vale tenere un bel discorso fasullo di nobile rinuncia e accuse di razzista, che funzionano sempre, all’avversario newyorchese.
Gli ultimi sondaggi, mentre si vota in Michigan, Stato di operai incazzati che conta molto di qui a novembre, Stato del mitico Walt Kowalski di “Gran Torino”, hanno aperto una rissa nello staff di Marco Rubio, il pupillo della elite e dei finanziatori repubblicani rivelatosi uno sfigato, tra i più smaliziati che gli consigliano di ritirarsi subito ed evitare la figuraccia in arrivo in casa sua, dove è eletto, la Florida, e altri che replicano, e le urla si sentono dal quartier generale, che scappare dalla Florida equivale ad essere comunque morto. Misteri di un partito, e di un sistema, allo sbando.
Eccoli i sondaggi freschi di ieri con previsioni sparse da vari Stati fondamentali con le sigle di diverse società di rilevazione. Florida,Monmouth: Trump 38, Rubio 30, Cruz 17, Kasich 10; Ohio PPP (D): Trump 38, Kasich 35, Cruz 15, Rubio 5 ; Michigan, FOX 2 Detroit/Mitchell: Trump 41, Kasich 23, Cruz 18, Rubio 8 ; Michigan, Monmouth : Trump 36, Kasich 21, Cruz 23, Rubio 13; Michigan,Trafalgar Group (R): Trump 41, Kasich 23, Cruz 23, Rubio 8; New York. Siena: Trump 45, Rubio 18, Kasich 18, Cruz 11; Idaho Politics/Dan Jones :Trump 30, Cruz 19, Rubio 16, Kasich 5 .
Per gradire mettiamoci anche l’indice di gradimento di Barak Obama: Gallup ,Approva 49, Disapprova 48 ;Rasmussen, Approva 47, Disapprova 52 ; indice della direzione in cui va il Paese: Rasmussen, Giusta Direzione 28, Sbagliata 65. Sarà anche il fastidio per Obama colpa del cattivone Trump? Viene in mente al Gop di capitalizzare questo fastidio per unirsi contro Hillary Clinton e marchiarla come clone del presidente in carica? Sembrano la versione per i ricchi del centrodestra italiano, impegnati duramente alla sconfitta.
In attesa del Michigan, e dei definitivi Ohio e Florida tra una settimana, il comitato elettorale del Gop fatica a mettere insieme 25 milioni di dollari in negative campaign contro Trump e pro Rubio perché obiettivamente mancano gli argomenti. Interessante notare l’atteggiamento diverso dei due giornali più importanti: il Washington Post, espressione della burocrazia della capitale, ha letteralmente perso la testa e infila titoli da pericolo nucleare su Trump, editoriali di pensosi professori liberal e di saggi conservatori e neocon che spiegano come e perché bisogna evitarlo, combatterlo, neutralizzarlo, o l’America sarà perduta;
UNA MAPPA IN CASO DI BLOOMBERG TRUMP CLINTON
il New York Times, che pure lo detesta ed è pro Hillary, dopo lo sbandamento iniziale si è rimesso a fare il suo mestiere e racconta più pacatamente luoghi e ragioni del successo del candidato scomodo, insieme a una prima inchiesta sulle malefatte di Hillary Clinton in Libia, una storiaccia che dovrebbe far rabbrividire noi italiani che di quella sciagurata avventura paghiamo le conseguenze più nefaste.
UNA MAPPA IN CASO DI BLOOMBERG TRUMP SANDERS
Ieri la negative campaign si è esibita dalle cancellerie e ambasciate mondiali, diffondendo un articolo sulle preoccupazioni di nazioni come l’India, la Francia, la Germania , l’Inghilterra, il Messico, il Canada. Sono bordate pesantissime che non sembrano sortire risultati sulle intenzioni degli elettori. Certo, il voto così è profondamente polarizzato, come si dice in gergo, e Trump sembra sempre di più il candidato dell’uomo bianco, e del nero che teme le nuove minoranze, in rivolta contro il melting pot, l’Islam e la globalizzazione. Anche questo non suona familiare?
Si sta votando in Michigan, Mississippi, Idaho e Hawaii. All’establishment repubblicano umiliato dalle sconfitte di Rubio si presenta l’amara alternativa di sostenere il senatore texano Ted Cruz, che è oggettivamente ancora in gara, ma è un beghino evangelico che sostiene la superiorità della religione sullo Stato, che ha un programma davvero estremista su tasse, agenzie governative, finanziaria, che è amato dal Tea party, il movimento di base al quale il vertice del partito attribuisce la colpa della crisi attuale.
Cruz è il senatore più odiato di Hollywood, uno che fa orrore ai finanziatori tanto quanto Trump, solo che dei soldi ha bisogno. “E’ troppo tardi è troppo tardi”, ripete scuotendo la testa ai giornalisti uno sconsolato Fred Malek, capo dei finanziamenti dell’Associazione dei governatori repubblicani. Il principale strumento anti Trump, che si chiama Our Principles PAC, ed è stato fondato dall’ex stratega di Mitt Romney nel 2012, Katie Packer, ha mandato in trincea proprio Romney con accuse infamanti al candidato newyorchese, ma i sondaggi non reagiscono agli appelli e le idee scarseggiano.
La pubblicità negativa destinata a colpire quotidianamente Trump è coordinata da un vecchio sondaggista repubblicano, Jon Lerner, attraverso il Club for Growth, ma il lavoro in Iowa e South Carolina è andato male, ora si spera nell’Illinois, che vota il 15 marzo. La sensazione dominante è che dal 16 marzo non ci sia più niente da fare se non orchestrare la famosa contested o brokered convention, taroccare il risultato delle primarie e consegnarsi a sconfitta certa.
Donald Trump prosegue imperterrito, come dice un suo stratega, Barry Bennett, “Ultimo ostacolo, dopo Ohio e Florida avremo the nominee, il candidato”.
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