DAGOREPORT - NON TUTTO IL TRUMP VIENE PER NUOCERE: L’APPROCCIO MUSCOLARE DEL TYCOON IN POLITICA…
Maria Giovanna Maglie per Dagospia
La Corte Suprema torna in sessione, torna al lavoro, ma è bloccata, 4 contro 4, non in grado di trattare ricorsi importanti o delicati, in attesa del nono giudice. Il sogno dei Democratici.
È cominciata l'ennesima settimana di passione del giudice Brett Kavanaugh, e alla fine di questa, comunque vada a finire, sfido le persone oneste a decidere chi sia la vittima .
L'FBI è partito già da due giorni con l'indagine supplementare sul giudice aspirante allo scranno della Corte Suprema e accusato di tentato stupro 36 anni fa quando aveva 17 anni. Lo ha deciso la commissione Giustizia del Senato nel mandare all'Aula la nomina con una raccomandazione favorevole, Trump non ha potuto che acconsentire.
Lo psicodramma dovrebbe finire venerdì, deadline dell'indagine, due mesi da quando Kavanaugh è stato indicato dal Presidente, ma anche come spiegherò più avanti l'occasione per gettare altro fango sull'uomo, aprire nuove falle nella sua testimonianza, tenta di trovare prove laddove fino ad ora ci sono state solo denunce non dimostrabili.
In fondo c'è la battaglia cruenta in vista delle elezioni del 8 novembre, cosiddette di midterm, metà mandato, in cui si rinnova l'intera Camera, un terzo del Senato, e questa volta anche 36 governatori su 50.
Da una parte c'è il tentativo disperato dei Democratici di riprendere la maggioranza in almeno una delle due Camere, dall'altra l'impegno strenuo di Trump non solo di tenersele ma di cambiare con uomini suoi gli eletti del partito Repubblicano, in mezzo il povero Kavanaugh.
Il presidente ha fatto buon viso a cattivo gioco nell'annunciare l'autorizzazione all'ennesima Indagine su un uomo al quale vanno la sua stima e il suo rispetto incondizionati. Indagine limitata nel tempo e nel raggio d'azione, chiosava il comunicato della Casa Bianca di venerdì sera, e su questa limitazione si è aperta già la canea, capitanata dall'avvocato dell'accusatrice, Christine Ford, che e’ anche una fundraiser Democratica e si chiama Debra Katz, e da uno degli addetti ai lavori contro Trump, l'ex direttore dell'FBI, James Comey, con un editoriale incendiario sul New York Times.
Dicevamo che Trump venerdì sera sembrava tranquillo, e le ragioni sono due. La prima è che, spregiudicatamente ma anche giustificatamente, usa la vicenda come strumento elettorale nei comizi. Ci sarà una fazione molto sensibile al richiamo politically correct della donna, vittima certa anche 36 anni dopo e senza la minima prova, ma c'è anche una fazione che si domanda se durante l'adolescenza non sia capitato a tutti di sbevazzare e fare qualche sciocchezza, e se con questi pretesti si possa per mesi tenere ferma una nomina che è di competenza del presidente, di una persona che ha agevolmente superato la dura e abituale disamina del Senato.
Soprattutto se in nome di un incarico anche se il più prestigioso degli Stati Uniti dopo la Casa Bianca sia legittimo distruggere la vita di quella persona e della sua famiglia. Tutto sta nello stabilire quale fazione rappresenti la maggioranza degli elettori.
La seconda ragione di buon umore nonostante tutto di Trump si è capita la notte scorsa, quando all'ultimo secondo è stato firmato l'accordo col Canada che rinegozia quel che fu il Nafta, il libero commercio fra Stati Uniti Canada e Messico, gli cambia nome, si chiamerà USMCA, cambia le regole del commercio caseario e delle automobili che erano a protezione del Canada e a svantaggio degli Stati Uniti. Perciò niente più dazi americani escluso acciaio e alluminio.
Il Messico aveva detto già di sì un mese fa, Trudeau, premier canadese, aveva promesso macelli, alla fine Trump qualcosa ha ceduto, ma porta a casa il risultato di avere ancora una volta rimesso al centro delle regole internazionali la salvaguardia del suo Paese. Le Borse festeggiano, lo sguardo è ancora una volta alle elezioni di midterm.
Torniamo a Kavanaugh. Se nell'ultima schermaglia al Senato in commissione giustizia è venuto fuori alla grande il personaggio di Lindsey Graham come eroe repubblicano – indignato per i metodi dei Democratici, per l'attacco alla dignità del giudice, per l'estremismo dei colleghi tanto più doloroso per lui che negli anni di Obama ha accettato di votare le sue due nominate alla Corte Suprema –, il Giuda repubblicano ha invece il nome di Jeff Flake, il senatore che prima annunciato il voto favorevole al giudice, poi è stato intrappolato in un ascensore da un gruppo di militanti di sinistra, circondato da amici e senatori del partito democratico, e alla fine ha deciso di vincolare Il suo voto in Aula a supplemento di indagine. Due senatrici repubblicane, sempre timorose quando si parla di diritti civili e donne, Susan Collins e Lisa Murkowski, sì sono accodate.
Flake non si ricandida, lascia il Senato, in Arizona non è popolare, anzi è considerato un repubblicano finto, ma i numeri del Senato sono tali, la maggioranza è di 51 a 49, che Flake ha deciso per tutti.
A questo punto come stanno le cose? Può essere utile. l'opinione giurata di Rachel Mitchell, il pubblico ministero specializzato in crimini sessuali, che ha collaborato con i repubblicani e che ha rivolto le domande durante la testimonianza della professoressa Ford. Nel memorandum reso noto sabato scorso la Mitchell scrive che non sarebbe in grado di formulare un'accusa nei confronti del giudice e che ci sono incongruenze nella testimonianza della sua accusatrice. Nell'introduzione del memorandum inviato a tutti i senatori repubblicani, dichiara di essere una elettrice repubblicana ma non una persona coinvolta in alcun modo nella politica.
Conferma che si tratta del classico esempio cosiddetto nella Common Law “he said, she said,” ovvero una versione contro l'altra, nessuna corroborata da prove, e che il caso Ford versus Kavanaugh è ancora più debole di cosi’.
Scrive che la Ford continua a dare informazioni contraddittorie sull'epoca del presunto attacco, una volta dice a metà anni 80, un'altra all'inizio degli anni 80, un'altra ancora l'estate dell'82; che è comune che le vittime siano incerte sulle date, ma non che saltino con disinvoltura da una data all'altra senza spiegare che tipo di ragionamento seguono.
La Mitchell sottolinea anche che la Ford non fa mai il nome di Kavanaugh nelle carte prodotte nella terapia matrimoniale nel 2012 né in quella personale nel 2013. Non ricorda come è arrivata al party, come e’ tornate a casa sua, e in quale casa sia avvenuto tutto ciò, non cita una sola persona che a quel party abbia partecipato.
Questo è lo stato delle cose. E allora che indagini sta facendo l’FBI, a parte interrogare un'altra accusatrice, che si chiama Debora Ramirez, che, in analoga confusione di date, luoghi e persone, sostiene che a una festa Kavanaugh si sarebbe sbottonato i pantaloni davanti a lei?
Calma, perché di accuse non sostenute da prove, o non riferibili direttamente a quell’ accaduto, se ne possono trovare a decine. Intanto sarebbe venuto fuori un compagno di college a Yale, che non sa niente della Ford, non l'ha mai conosciuta, ne’ sa niente di tentati stupri, ma dichiara che Kavanaugh aveva l'abitudine di sbevazzare e diventare aggressivo.
Charles “Chad” Ludington, che oggi insegna alla North Carolina State University, sostiene di essere stato testimone di una rissa tra il giudice e un altro studente a seguito di una bella sbronza. Il tentativo è chiaro, sostenere che Kavanaugh ha commesso spergiuro quando ha testimoniato che gli è capitato di bere da ragazzo ma che non ha mai fatto cose di cui doversi pentire o che non ricorda.
La telenovela continua, nei prossimi giorni saranno interessanti i sondaggi d'opinione con le reazioni alla storiaccia, soprattutto là dove si vota l’otto novembre. Magari quella dei Democratici è una strategia sbagliata, chissà.
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