DAGOREPORT – NEL NOME DEL FIGLIUOLO: MELONI IMPONE IL GENERALE ALLA VICEDIREZIONE DELL’AISE.…
Maria Giovanna Maglie per Dagospia
Se invece di preoccuparsi tanto e far salire spread per le sorti italiche, ai Paesi padroni dell'Unione Europea toccasse preoccuparsi urgentemente della fregatura che sta arrivando da oltreoceano? L'amministrazione Trump si accinge già oggi ad annunciare che non si rinviano più le misure di dazi perché le concessioni richieste all'Unione Europea non sono arrivate, non c'è alcun tipo di accordo di compromesso, e siamo alla deadline, il primo giugno, venerdì, perciò arrivano le tariffe sull'acciaio e l'alluminio, 10 e 25%. L'Unione Europea risponderà presumibilmente con tariffe di ritorsione su prodotti americani di largo consumo, come i jeans, motociclette e bourbon.
Succede davvero? Certo che sì, a meno di un accordo dell'ultima ora che, anche se non viene detto esplicitamente, dovrebbe comprendere anche la rinuncia esplicita dell'Unione Europea a commerciare con l'Iran, dopo che Trump ha stracciato l'accordo firmato da Obama nel 2015 insieme alle nazioni europee, alla Cina e alla Russia.
Fonti della Casa Bianca ricordano di aver a lungo atteso, di aver dato un altro mese di tempo all'Europa perché è un Paese alleato, senza ottenere nulla, e che a questo punto le tariffe partono ma le trattative potranno lo stesso continuare. Che e’ poi quel che ha lasciato intendere il segretario al Commercio, Wilbur Ross, ieri a Parigi per un forum dell' Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo.
“ Non è che si interrompe il dialogo solo perché ti hanno imposto delle tariffe -ha detto Ross - Dio sa quante tariffe l’Unione Europea ha imposto a noi”’ Niente di cui stupirsi, è linguaggio trumpiano, semplice e un po' brutale.
Che cosa c'è in ballo? A Bruxelles si parla di tariffe per 2 miliardi 800 milioni di euro su esportazioni americane e si cita la regola della Organizzazione per il commercio mondiale, che consente ai Paesi membri di punire una nazione che applichi formule di salvaguardia inappropriate contro le loro esportazioni.
Che cosa c'è di inappropriato?
Che per cambiare le regole e imporre tariffe gli Stati Uniti citino ragioni di sicurezza nazionale. “Non ho avuto il piacere di vedere studi e analisi a riguardo, non vediamo come queste esportazioni pongano un problema la sicurezza americana”, dice infatti David O’Sullivan, ambasciatore a Washington dell'Unione Europea.
donald trump xi jinping angela merkel mauricio macri malcolm turnbull
Anche Canada e Messico hanno avuto un rinvio della decisione, ma lì la situazione è diversa, e mentre si ridiscutono i termini del Nafta, l'accordo per il libero commercio stipulato nel ‘95 da Bill Clinton, è probabile che non se ne faccia niente, troppo forti I legami tra le industrie statunitensi dell'acciaio e quelle canadesi.
Ieri però lo scontro è stato grosso anche con loro perché il premier Justin Teudeau ha dichiarato che è meglio stracciare l'accordo sul libero commercio del Nord America invece che essere costretti a farne uno cattivo; il presidente messicano ha risposto male alla richiesta perentoria di Trump che il Messico contribuisca alla costruzione del muro di confine che dovrebbe servire a tenere fuori le masse di immigrati clandestini che ogni giorno tentano di entrare negli Stati Uniti.
La reazione europea è invece abbastanza misteriosa al momento, il ruolo italiano marginale, nonostante i nostri interessi enormi e i rischi che corriamo. Dopo la Germania, perché in caso di ritorsioni americane alle nostre ritorsioni in pericolo è l'esportazione di automobili dall'Europa agli Stati Uniti.
Non sorprendentemente, i più moderati sul tono delle risposte da dare sono i più colpiti ed esposti, ovvero la Germania, mentre a parole almeno il più aggressivo e’ proprio quel Macron che un mese fa è andato a fare il bacio della pantofola a Trump a Washington.
Prima dell'incontro con Wilbur Ross, la commissaria Ue, Cecilia Malmström, aveva dichiarato all’Europarlamento di aspettarsi, nell’ipotesi migliore, la definizione di quote sull’import dalla Ue . L’incognita, ha spiegato, è se si tratterà di quote al di sopra delle quali l’export dall’Europa sarà bloccato, oppure di quote al di sopra delle quali scatteranno solo dei dazi. Un po' confusa.
Il mese di maggio insomma non è servito assolutamente a nulla, Eppure che Donald Trump non solo faccia sul serio nella guerra dei dazi, ma che usi questa leva per strappare accordi di altro tipo, politici, internazionale, più importanti, è stato chiaro anche dall'approccio con la Cina.
Il 19 maggio era stata infatti siglata una tregua commerciale in cambio di un impegno enorme di Pechino ad importare dagli Stati Uniti, ma due giorni fa all'improvviso l'accordo è stato dichiarato non più valido e Washington ha dato tempo fino al 15 giugno a Pechino prima di rendere pubblica la lista definitiva dei prodotti cinesi che verranno colpiti da dazi del 25%, che saranno applicati su 50 miliardi di dollari di merci.
Altri 15 giorni per annunciare le misure che limiteranno gli investimenti cinesi negli Stati Uniti e mettere sotto controllo le esportazioni di tecnologie. Con queste premesse Wilbur Ross direttamente dall'Europa arriva in Cina Il 2 giugno.
Che cosa è successo? Io sono pronta a scommettere che le minacce sono collegate all'atteggiamento di Pechino sulla Corea del nord. C'è un vertice fra Trump e Kim jong-un in bilico il 12 giugno, Pechino ha come sempre svolto un ruolo di straordinaria ambiguità e stava cercando di annacquare a puro uso e consumo di Kim quel vertice. Trump ha detto “ bene non se ne fa niente”, gli ha scoperto il giochino, ora manda a dire probabilmente che sta alla Cina salvare quel vertice e trasformarlo in una cosa seria.
Anche perché contro Pechino il Congresso in larga maggioranza, non solo il partito repubblicano del presidente, è incline a posizioni durissime, e aveva criticato la decisione a favore del colosso delle telecomunicazioni cinese Zte . Colpita dal divieto di operare con società Usa per 7 anni per aver violato le sanzioni Usa contro Iran e Corea del Nord, Zte aveva sospeso le attività e rischiava di chiudere, rischio ora di nuovo fortissimo.
L'Europa? Tralasciando le solite dichiarazioni sprezzanti di Claude Juncker ,accompagnato da Margrethe Vestager, Commissario europeo per la concorrenza, che si dicono pronti a rispondere con dei contro-dazi sui 2.8 miliardi di dollari di prodotti che ogni anno varcano il mercato unico, Angela Merkel fa sapere di essere pronta a sondare tutti i possibili compromessi. La Germania, infatti, con 950 milioni di euro, rappresenta il primo esportatore di acciaio e alluminio negli States, su un totale di 6.4 miliardi di prodotti europei, e i dazi agli Stati Uniti sui suoi prodotti li ha sempre fatti pagare, eccome.
donald trump xi jinping mar a lago
Seguendo lo schema Usa con Cina-Corea del Nord, arriviamo alla trattativa sull'Iran che è strettamente legata alla questione dei dazi all'Europa, e riguarda molto da vicino l'Italia, i suoi imprenditori, illusioni che rischiano di trasformarsi rapidamente in delusioni cocenti.
Qualche numero. Noi viviamo di esportazione e gli Stati Uniti rappresentano la prima destinazione dei nostri prodotti fuori dall'Europa, per un valore superiore ai 40 miliardi di dollari. Con l'Iran l'export non raggiunge i 2 miliardi di euro. Dunque non c'è paragone, dunque c'è da tremare all'idea che vengano dagli Stati Uniti applicate non solo le sanzioni all'Iran, se non ci sarà un nuovo accordo e cambieranno le condizioni di quel Paese rispetto all’ imbroglio nucleare, ma le già minacciate secondary sanctions, sanzioni indirette per colpire soggetti non americani che fanno affari con la Repubblica Islamica.
In pochi sanno che, non lo saprei neanche io se non lo avessi letto su Atlantico Quotidiano di Federico Punzi e Daniele Capezzone, la Cassa Depositi e Prestiti aveva rigettato la richiesta dei Governi Renzi e Gentiloni di assicurare il business italiano in Iran.
La CDP è all’80 per cento posseduta da fondazioni bancarie che non hanno alcuna intenzione di rischiare i loro interessi negli Stati Uniti per le ritorsioni finanziarie del Dipartimento del Tesoro americano. Ma il Governo Gentiloni ha fatto orecchie da mercante e ha aggirato il diniego trasferendo all’agenzia pubblica Invitalia questa responsabilità, insieme all'approvazione di una linea di credito di 5 miliardi verso Teheran.
La cifra non è significativa per grandi aziende come l’ENI o le Ferrovie dello Stato, e anche piccole e medie aziende del settore della meccanica dovranno scegliere visto che gli Stati Uniti sono il loro mercato principale.
Non dovrebbe esserci alcun esitazione dunque nello scegliere di contrastare Federica Mogherini che sembra avere a cuore solo l'accordo con l'Iran, nel decidere invece che il nostro partner tra I due sono gli Stati Uniti. È una questione di sicurezza nazionale, come direbbero dalle parti di Washington. Intanto il tempo stringe.
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