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Pietro Veronese per "la Repubblica"
à tempo di lasciarlo andare. Sono in pochissimi in Sudafrica oggi a potersi permettere di pronunciare queste parole a proposito di Nelson Mandela. Andrew Mlangeni è uno di loro. Di otto anni più giovane del novantaquattrenne Madiba, suo compagno di lotta politica, con lui arrestato, condannato all'ergastolo e imprigionato a Robben Island, è insieme a lui uno degli ultimi ancora in vita della generazione eroica. In un'intervista che campeggiava ieri sulla prima pagina del Sunday Times sudafricano, Mlangeni ha detto ciò che molti suoi connazionali pensano ma non osano formulare a voce alta.
«Gli auguriamo di rimettersi in fretta, ma penso sia importante che la famiglia lo lasci andare, cosicché si possa fare la volontà di Dio. Se lo faranno i suoi familiari, lo faranno anche i sudafricani. Ringrazieremo Dio per averci dato quest'uomo, e anche noi lo lasceremo andare». à la quarta volta che Nelson Mandela viene ricoverato negli ultimi sei mesi. Rimase in ospedale per quasi tutto dicembre, poi a gennaio per controlli, poi in aprile per una rinnovata crisi polmonare, poi questo sabato, all'una e mezza di notte, su decisione dei medici che avevano riscontrato una ripresa dell'infezione ai polmoni.
Tra questi due ultimi ricoveri c'era stata, in maggio, la diffusione di un video che lo ritraeva in casa, immobile, taciturno, corrucciato, visibilmente impedito e sofferente. Lo scopo dell'operazione, a quanto pare, era di mostrare ai sudafricani increduli e angosciati che il vecchio padre della patria era ancora vivo; ma l'effetto fu opposto, perché nelle immagini si vedeva soltanto un uomo ridotto all'ombra di se stesso. Le sue condizioni sono «gravi, ma stabili», diceva il primo comunicato letto sabato dal portavoce presidenziale Mac Maharaj, un altro di Robben Island.
Da allora i medici non hanno aggiunto nulla. Nessuna novità trapela dall'ospedale di Pretoria dove Mandela è stato trasportato nottetempo tra venerdì e sabato. Dicono che è vigile, conscio, parla con i familiari. La moglie Graça gli è sempre accanto, dopo che ha cancellato all'ultimo momento un impegno pubblico che aveva a Londra proprio sabato.
Ieri si è pregato per lui in tutte le chiese del Sudafrica, Paese ricco delle più svariate confessioni cristiane. Una giornata di veglia, come altre ce n'erano state nel passato recente. Un clima di compostezza, di raccoglimento, di attesa.
A Qunu, il villaggio natale dove Mandela ha trascorso buona parte degli ultimi anni, la gente è tornata a riunirsi, accampandosi in silenzio intorno alla sua casa, parenti più o meno lontani, antichi legami tribali che fanno sentire la loro forza nei momenti supremi. Le ore che passano, e le notizie che mancano, portano le persone a sezionare una per una le parole del portavoce ufficiale. L'uso della parola «grave» ha colpito tutti, perché non s'era mai sentita. Però il portavoce ha anche detto che «respira autonomamente, e questo è un buon segno. à un combattente e, alla sua età , finché combatte se la caverà ».
Certo, è stato ricoverato tante volte, e ce l'ha sempre fatta; sì, ma un'altra se ne aggiunge, non può andare avanti così all'infinito. Tra queste due considerazioni, che costantemente si alternano nei pensieri e nelle conversazioni, continuano ad avvitarsi ed a girare a vuoto le emozioni collettive dei sudafricani. Forse è anche questo il frutto - l'ultimo - della saggezza del grande padre della patria, ormai vecchissimo. Il suo avvicinarsi alla morte, il rinnovarsi dell'allarme ogni poche settimane, si è negli ultimi mesi quasi ritualizzato, ha perso emotività , così che adesso tutti sembrano più preparati, più disposti ad accettare l'eventualità della fine.
Forse è davvero giunto il tempo di lasciarlo andare, come ha detto Andrew Mlangeni. Perché una cosa è certa: anche se Nelson Mandela ha lasciato il potere nel 1999, nel 2005 ha abbandonato ogni carica ritirandosi completamente a vita privata, ed è apparso in pubblico per l'ultima volta tre anni fa, sorridendo trionfale alla cerimonia di chiusura dei Mondiali di calcio, egli è ancora e pur sempre il riferimento di tutti. Il simbolo, il padre. E quando il momento verrà , forse presto, lascerà il Sudafrica orfano.
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